14/04/2020

Eclissi della religione pubblica in nome del « principio di precauzione »: la dittatura giacobina

Par l'abbé Claude Barthe

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Il 2020 sarà un anno di disastri per il cattolicesimo: in Francia, in Italia, così come in altri Paesi del nostro vecchio Occidente cristiano, non è stata celebrata alcuna messa pubblica per la Pasqua. Per la Francia, questo è senza precedenti dai tempi della Rivoluzione francese, quando le messe domenicali venivano ancora celebrate, con molta parsimonia, ma solo dal clero costituzionale.

Di chi è la colpa? Dello stato laico, certo, ma non soltanto. Il decreto del Ministro della Solidarietà e della Salute del 15 marzo 2020 ha infatti disposto in questo modo:

« Gli istituti di culto, che rientrano nella categoria V, possono rimanere aperti. Qualsiasi raduno o riunione di più di 20 persone è vietato fino al 15 aprile 2020, ad eccezione delle cerimonie funebri. »

In assenza di soluzioni migliori, i vescovi francesi avrebbero potuto organizzare assemblee liturgiche secondo questi vincoli, per esempio moltiplicando il numero delle messe per piccoli gruppi. Al contrario hanno anticipato le misure governative (le messe pubbliche sono state vietate dal 14 marzo), e le hanno addirittura amplificate. La Conferenza Episcopale locale (CEF) ha tradotto il decreto del 15 marzo come segue:

« Non si deve celebrare alcuna Messa con assemblea, qualunque sia la sua dimensione. I funerali possono, per il momento, essere celebrati nelle chiese della maggior parte delle diocesi. L’assemblea deve essere composta da meno di 20 persone » (Messaggio del vescovo de Moulins-Beaufort, presidente della CEF, 17 marzo 2020).

Di conseguenza, il 24 marzo, un nuovo decreto governativo ha vietato del tutto le messe, con la sola eccezione delle « cerimonie funebri ».

I vescovi francesi erano sicuramente in diritto, se non in dovere, di verificare se il bene comune della città fosse stato bistrattato, nella misura in cui una legge civile degna di questo nome non può ostacolare la diffusione dei beni soprannaturali. Anzi, dovrebbe piuttosto promuoverlo. Poi, dall’inizio di questa crisi si è più volte posta la questione della proporzionalità delle misure adottate: se infatti non dobbiamo confinare solo i malati e i loro parenti, ma anche i malati e i sani, perché non adottare misure di confinamento analoghe, ad esempio, durante l’influenza stagionale che può mietere fino a 650.000 vittime all’anno in tutto il mondo? La risposta – in un contesto in cui lo scienziato ideologicamente sopravvalutato si sta spingendo oltre i suoi limiti – sta nella mancanza di conoscenza del virus attuale, per il quale non è disponibile né un vaccino né un farmaco efficace, per non parlare della mancanza di preparazione sanitaria. Tanto che medici ed epidemiologi hanno chiesto l’applicazione del « principio di precauzione ». Solo che questo principio – venuto fuori dallo zaino degli ecologisti e incorporato nella Costituzione francese nel 2005, quando sarebbe stato sufficiente invocare il bene comune della Città, prudentemente e intelligentemente cercato – si scontra con il bene comune soprannaturale di cui la Chiesa è l’unico giudice.

Certo, essa ha anche il dovere di promuovere la salute del corpo, e quindi di tener conto dell’opinione di coloro che governano – anche se bisogna ricordare che questi ultimi continuano, anche durante la pandemia, ad autorizzare l’assassinio legale di circa 220.000 persone innocenti all’anno nel paese (1) – ma rimane innanzitutto responsabile della salute spirituale degli uomini, della loro salvezza eterna.

In questo senso su questa terra non c’è nulla di più prezioso per i vivi e per le anime del Purgatorio che il Sacrificio eucaristico, come ribadito in ogni epoca dalla Chiesa. Per tutti i vivi », perché bisogna ricordare, con san Tommaso, che se l’Eucaristia, come sacramento, giova a chi la riceve, giova anche, come sacrificio, a tutti coloro per i quali viene offerta, cioè a tutti gli uomini ai quali viene offerta la salvezza in Gesù Cristo (2).

Nei tempi di crisi, proprio per questi suoi effetti, la Messa dovrebbe essere al centro del culto pubblico di Dio. Infatti, per quanto strana possa sembrare oggi questa affermazione, il governo della città dovrebbe non solo promuovere il culto divino celebrato dalla Chiesa, ma anche associarsi ad esso in quanto tale. Proprio come il padre di famiglia, il sovrano non può rifugiarsi nella « neutralità ». Rendere un culto pubblico a Dio « è un dovere che obbliga prima di tutto gli uomini singolarmente, ma è anche un dovere collettivo di tutta la comunità umana ordinata con reciproci vincoli sociali, perché anch’essa dipende dalla somma autorità di Dio. » (Pio XII, Mediator Dei)

Anche se queste cose sono del tutto estranee all’odierna realtà democratica, i pastori della Chiesa dovrebbero tenerle a mente nel loro insegnamento e prendere posizioni che non le contraddicano. Mentre tollerano, visto che non possono fare altrimenti, queste istituzioni che ignorano la legge divina, devono riservarsi gelosamente la tutela dei diritti di Dio. Purtroppo si avvera il contrario, poiché dal Concilio Vaticano II si ritiene che alla Sposa di Cristo sia stato nel passato concesso per eccezione una « speciale posizione civile mentre deve ora attenersi alla comune legge di associazione che deriva dalla libertà religiosa (Dignitatis humanae n. 6).

Don Claude Barthe

1. Jérôme Salomon, Direttore Generale della Sanità francese: « I centri per l’aborto restano aperti durante la crisi » (briefing per la stampa, venerdì 20 marzo 2020).

2. Summa Theologica, IIIa pars, q 79, a 7).