03/04/2024

La teologia del corpo: una pastorale a rischio

Par l'abbé Claude Barthe

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Mentre il concilio Vaticano II aveva aperto una breccia liberale nell’ecclesiologia, l’enciclica Humanæ vitæ di Paolo VI del 25 luglio 1968 aveva difeso la morale tradizionale nell’ambito della pratica matrimoniale. Essa sollevò per questo una tempestosa opposizione tra i teologi e gli episcopati del mondo. Contro tale dissensus, era sorto un sostegno del tutto inedito alla dottrina del matrimonio, che aveva cercato di rendere questa digeribile al mondo contemporaneo, volgendo a proprio vantaggio l’esaltazione contestuale del corpo e della sessualità. Non senza rischi.

Richiamo ai tre beni del matrimonio

Conviene, per fissare bene le idee in questo ambito, far riferimento alla sintesi tomista, che, come tutta la grande tradizione medioevale, dipende dall’istituzione ad opera di sant’Agostino, contro i manichei, della dottrina dei tre beni del matrimonio: proles, fides, sacramentum ovvero i figli, la fedeltà (la fede donata all’unione dei corpi), il sacramento[1].

Ora, contrariamente alle affermazioni oggi ripetute, questa sintesi – certo esigente per il semplice fatto d’avere un intento virtuoso – è l’esatto contrario dell’esser «negativa». Il bene primario, inteso come fondamentale, del matrimonio umano, istituzione naturale elevata da Gesù Cristo alla dignità di sacramento, sta nei figli, nella loro generazione seguita dalla loro educazione, che specifica l’umanità dell’istituzione, come spiega san Tommaso nella Somma contro i Gentili[2]. C’è una «ordinazione oggettiva del matrimonio verso il suo fine primario, ordinazione contenuta nella sua natura», ha detto la Rota Romana in una sentenza particolarmente importante, il 22 gennaio 1944[3].

Nel suo commento alla Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi, 7, 2 («Tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito»)[4], san Tommaso mostra come i primi due beni, per quanto naturali possano essere nelle unioni non sacramentali dei non-cristiani, sono ordinati, il primo – la generazione – alla virtù della fede, poiché si tratta di prestarsi all’opera creatrice di Dio e di darGli figli a sua lode, ed il secondo alla virtù della giustizia (Suppl. q. 41 a 4). Nel matrimonio cristiano, lo scambio del consenso è il sacramentum, rappresentazione dell’unione di Cristo con la sua Chiesa (Efesini 5, 32). La grazia santifica la procreazione e conferisce all’unione degli sposi un valore d’indissolubilità sacra: non è possibile separare uno sposo dalla propria sposa come non è possibile separare Cristo dalla sua unica Sposa.

È forse nella Somma contro i Gentili, al I 4, c 78, che si trova il più bel testo tomista sulla questione. Vi si ricorda come la res, la realtà consacrata o grazia significata dal segno sacramentale del matrimonio (ovvero il consenso degli sposi), stia nella partecipazione all’unione di Cristo e della Chiesa, una grazia medicinale importante tanto più quanto le realtà carnali e terrene del matrimonio non le distolgono da Cristo e dalla Chiesa.

L’unione carnale è buona (e quindi meritoria), se non è disordinata (Suppl. q 41 a 4), senza per questo essere indispensabile per l’esistenza dell’unione essenziale del matrimonio[5]. È il sacramento, che santifica l’unione carnale, e non l’unione carnale, che condiziona il sacramento.

La teologia del corpo di Giovanni Paolo II

L’intera rivendicazione liberale nella Chiesa concernente il matrimonio, a partire dagli Anni Sessanta del secolo scorso, era consistita, al contrario, nel valorizzare l’unione carnale degli sposi in quanto tale, separata dal fine della procreazione, per legittimare la contraccezione, la sterilizzazione della donna al fine di render impossibile la procreazione. Ciò che era stato condannato da Pio XII nel 1958[6] e che ancora è stato condannato con l’Humanæ vitæ nel 1968[7].

Giovanni Paolo II ha raccolto il testimone ed è stato, senza alcun dubbio, il grande difensore dell’Humanæ vitæ e, più in generale, del matrimonio e della famiglia. Ma, invece d’insistere sull’argomentazione essenziale dell’enciclica – la contraccezione è una violazione della legge naturale -, ritenuta poco comprensibile dalle mentalità contemporanee, ha preferito una dimostrazione antropologica in una prospettiva personalista –ch’era poi la sua -, sviluppata attorno all’affermazione della persona come soggetto e non come oggetto di cui servirsi per fini personali.

In quest’ottica, ha sviluppato una «teologia del corpo», già presente nella sua opera, Amore e responsabilità[8], nel corso delle catechesi del mercoledì, dedicate al tema del matrimonio e della sessualità dal 5 settembre 1979 al 28 novembre 1984[9].

L’unione tra l’uomo e la donna entro la reciproca comunione d’amore è principalmente l’immagine di Dio nell’umanità fin dall’origine, uno specchio della comunione d’amore tra le persone divine: «Questo […] costituisce anche l’aspetto teologico più profondo di tutto quanto si possa dire sull’uomo» (Tdc, pag. 167). Affermazione, che rappresenta una novità considerevole, nella misura in cui non sia più solamente mediante la sua anima spirituale che l’uomo è detto, in senso stretto, immagine di Dio, come prospettava, ad esempio, san Tommaso (Somma teologica, 1a q 93, a 6). «L’uomo – prosegue Giovanni Paolo II – è divenuto immagine e somiglianza di Dio non soltanto attraverso la propria umanità, ma anche attraverso quella comunione di persone, che l’uomo e la donna costituiscono sin dall’inizio» (sempre Tdc, pag. 167, corsivo di Giovanni Paolo II).

Pertanto, il matrimonio è un «sacramento primordiale», che esprime in modo privilegiato l’essere trinitario di Dio (Tdc, pag. 471). E questa valorizzazione si focalizza sull’unione corporale, poiché l’uomo, creato come dono, esprime ciò che è attraverso il dono sponsale (Tdc, pag. 185): «L’unione sponsale dell’uomo e della donna attraverso il corpo è il segno originale ed efficace con cui la santità è entrata nel mondo[10]».

Mediante tale svolta antropologica, Giovanni Paolo II è tornato a condannare la concupiscenza, l’adulterio e la contraccezione, nonché a difendere la purezza, ma esprimendosi in un modo non del tutto chiaro: «La trasposizione di mezzi artificiali rompe la dimensione costitutiva della persona, priva l’uomo della soggettività che gli è propria e lo rende un oggetto di manipolazione» (Tdc, pag. 554, corsivo di Giovanni Paolo II).

Comunque sia, questa teologia, richiamando il “no” della Chiesa alla contraccezione, è stata screditata come «irrealista» da chi disprezza la morale tradizionale[11] e questo fa ad essa onore. Resta il fatto che tale teologia può sembrare imprudente nella misura in cui sacralizza i piaceri corporali, in sé inferiori ai piaceri spirituali ed intellettuali, ma più impetuosi (san Tommaso, ST, Ia IIæ, q. 31, a. 5). Soprattutto il suo eccessivo personalismo minimizza in concreto il fatto che la funzione riproduttiva dell’uomo sia destinata unicamente alla vita terrena («Poiché, alla risurrezione, gli uomini non prenderanno moglie, né le mogli marito, ma essi saranno come angeli di Dio nel cielo», Mt 22, 30), funzione che ordina gli sposi al servizio della Città ch’essi perpetuano. Forse l’aspetto più scomodo nei commenti di Giovanni Paolo II è il fatto ch’egli non dia il titolo specifico di «stato di perfezione» alla verginità consacrata, bensì, più in generale, all’unione dei tre voti di povertà, castità e obbedienza in vista della perfezione (Tdc, pag. 405).

I rischi che questa teologia comportava sono stati accentuati da coloro che si sono in seguito occupati di tale tema, alcuni dei quali hanno perso, in particolare, il pudore cristiano necessario in questo ambito, in cui si manifesta con forza la ferita della natura umana. Si ha l’impressione che la letteratura sulla teologia del corpo, che riguarda un pubblico catto-moderato legato ai valori della famiglia cristiana, si sia posta come missione quella di disinibire questo pubblico, che si suppone segnato da una morale «giansenista».

Eccessiva enfasi su corpo e sessualità

Yves Semen, otto figli, grazie alla sua opera La sessualità secondo Giovanni Paolo II[12], autentica vulgata per una preparazione al matrimonio d’impostazione classica, finanche tradizionale, è divenuto un commentatore – ed un amplificatore – quasi ufficiale in Francia della teologia del corpo di Giovanni Paolo II. A suo giudizio, la teologia del corpo wojtyliana ha aperto una vera e propria rivoluzione in questo campo, permettendo di difendere la Chiesa dalle critiche, che la presentano come ostile alla pienezza sessuale e di scagionarla dalla sua incresciosa reputazione di disprezzare il corpo.

La tesi, che emerge dalla sua opera e di cui mette conto porre in rilievo dei punti molto positivi[13], può esser riassunta in 5 punti, che sono altrettanti sviluppi dei discorsi di Giovanni Paolo II:

1°/ In origine, l’uomo è diventato immagine e somiglianza del Dio trinitario attraverso la comunione, soprattutto sessuale, tra l’uomo e la donna, perché «il sesso, con tutto ciò che significa, non è un attributo accidentale della persona». Certo, si tratta per Y. Semen di criticare la potente e influente ideologia di «genere», per la quale le differenze sessuali e le differenti funzioni, ch’esse condizionano, sono il prodotto delle culture e delle loro evoluzioni. D’altra parte, non si può negare che l’impronta della Trinità creatrice, secondo un grande tema agostiniano, si ritrova in tutta la creazione. La coppia umana è dunque uno degli esempi di queste «vestigia», importante è vero, poiché ordinata alla continuazione della creazione, alla procreazione, ma non imago di Dio puro spirito, al modo dell’anima spirituale. La prospettiva personalista d’Y. Semen riecheggia quella di Giovanni Paolo II in una metafisica del dono, per la quale è l’azione del donare a specificare l’essere e non l’opposto e ci rende ciò che siamo attraverso il dono, si esiste cioè nella comunione. E questo dono viene reso possibile dalla «differenza sessuale [che] ci costituisce come persone, permettendoci quella complementarietà necessaria al dono di noi stessi» (pag. 95, 96).

2°/ In tal modo si afferma chiaramente l’inversione dei fini del matrimonio: il corpo sessuato non è ordinato, in quanto tale, in primo luogo alla procreazione, bensì alla comunione tra persone, essendo la fecondità, che ne risulta, una «sovrabbondanza d’amore»: «Il corpo umano con il proprio sesso ed attraverso il proprio sesso è fatto per la comunione delle persone. Il frutto di questa comunione, così come la sua irradiazione, consiste nella fecondità in un’altra persona, ma non si può, senza tradire il senso della vocazione coniugale del corpo, ridurre la sessualità alla funzione procreativa: prima di tutto c’è la comunione; la procreazione giunge seconda, essendo essa frutto della comunione. In questo senso essa è garanzia della verità della comunione» (pag. 109-110). Oltre all’ottimismo, che postula che in ogni matrimonio vi sia amore di comunione, si noti il sofisma, che trasforma una priorità strumentale in una priorità essenziale, affermando, poiché l’unione carnale precede la procreazione, ch’essa sia prima. La comunione, prima corporale, agisce come un sacramento, in quanto esprime e produce la comunione spirituale. Quid, allora, del matrimonio di Maria e Giuseppe?

3°/ L’«erotismo sacro» del Cantico dei cantici sarebbe una conferma di tale tesi, secondo un argomento molto in voga nelle prediche sul matrimonio. In effetti, l’intera consuetudine interpretativa tradizionale aveva insistito sul significato simbolico del testo, al punto da rendere la metafora del matrimonio d’Israele col suo Dio il senso letterale di questo libro, trovandosi il senso spirituale o allegorico nel fatto che queste nozze mistiche d’Israele siano esse stesse immagine dello sposalizio di Cristo con la Chiesa o di Cristo con l’anima cristiana. Al contrario, per Yves Semen, il senso letterale è proprio carnale, addirittura erotico, specificando che si tratta di erotismo «nel senso profondo del termine, estremo ed, allo stesso tempo, di una purezza totale» (pag. 105).

4°/ Quindi i peccati commessi all’interno del matrimonio lo sono dimenticando il dono. Il peccato viene definito in questo ambito come una dissociazione tra la sessualità e l’aspirazione al dono. Da qui tale simmetria erronea: come v’è peccato nella pratica del matrimonio ridotto al solo godimento edonista, così vi sarebbe peccato nella pratica del matrimonio ridotto a semplice funzionalità della procreazione. Ed anche: «Se si è sovente insistito sulla proscrizione di tutti gli atti, che mirino ad escludere il significato procreativo, si è forse omesso di denunciare allo stesso modo ed in virtù della medesima norma etica gli atti, che minano il significato unitivo» (pag. 197, nostro corsivo). E ci sarebbe «adulterio» sia nel desiderare la donna d’altri, sia nel desiderare la propria moglie ma in un’unione senza comunione[14].

5°/ Con, de facto, un declassamento della vocazione alla verginità consacrata, che Yves Semen non sa bene come spiegare. Certo, egli sottolinea giustamente che la verginità consacrata è una nuzialità profetica, che anticipa ciò che il matrimonio costituisce. Ma, poiché enfatizza eccessivamente l’unione carnale nel qualificare la comunione tra gli sposi, alla fine è proprio l’unione carnale a sublimarsi nella comunione dei santi in Dio e non la comunione spirituale tra gli sposi.

La catto-sessuologia

Questa sublimazione cattolica dell’unione carnale diviene triviale in altre opere. Né il titolo, né il contenuto de Ne gâchez pas votre plaisir, il est sacré. Pour une liturgie de l’orgasme[15] [Non sciupate il vostro piacere, è sacro. Per una liturgia dell’orgasmo] di Olivier Florant e Denis Sonet si fanno problemi in termini di decente discrezione. Una liturgia: in un’intervista organizzata da Benjamin Coste su Famille chrétienne , 27 maggio 2006, «Coppie, non sciupate il vostro piacere», Olivier e Marie-Noëlle Florant, cinque figli, fondatori del sito Chrétiens avec vous, sexologues pour vous [Cristiani con voi, sessuologi per voi], paragonano la relazione coniugale alla messa, ciò che è comunque molto riduttivo nei confronti del sacrificio eucaristico.

Accenniamo di passaggio, benché tratti di sessualità senza riferimenti alla teologia del corpo, il libro-intervista di mons. Emmanuel Gobilliard, oggi vescovo di Digne, e Thérèse Hargot, sessuologa «cattolica», Aime et ce que tu veux, fais-le![16] [Ama e fa’ ciò che vuoi!]. Thérèse Hargot, ch’è stata vicina a Manif pour Tous e che sviluppa, è vero, temi interessanti (ad esempio, la sua opposizione alla pillola contraccettiva e la sua perorazione in favore dei «metodi naturali», pag. 168 e seguenti), considera la problematica morale di quel che viene permesso e di quel che viene vietato come una gogna: «Scrivere nel catechismo [il CCC] che la masturbazione è “un atto intrinsecamente e gravemente disordinato” […] significa far la morale ad una scoperta normale e persino necessaria per donarsi all’altro».

Ma l’indecenza raggiunge nuove vette, potremmo dire, con Fabrice Hadjadj, dieci figli, filosofo molto introdotto nel mondo cattolico classico e persino tradizionale, nel suo saggio: La profondeur des sexes. Pour une mystique de la chair[17] [La profondità dei sessi. Per una mistica della carne]. Una recensione di quest’opera viene fatta da Catherine Énisa in Une mystification des catholiques fidèles[18] [Una mistificazione dei fedeli cattolici], di cui l’autrice fornisce una sintesi su Riposte catholique (https://riposte-catholique.fr/archives/187889). La crudezza, favorita e resa in chiave umoristica, oltrepassa ogni limite, poiché, come dice Catherine Énisa, questa «mistica della carne» si spinge fino ad un’erotizzazione blasfema del mistero dell’Incarnazione e di quello della Vergine Maria. Anche Fabrice Hadjadj riprende, in termini che risparmiamo al lettore, la tesi di Giovanni Paolo II e d’Yves Semen circa la comunione marito/moglie ad immagine di Dio: «Senza dubbio l’anima per prima è ad immagine di Dio, però bisogna, di conseguenza, che anche il corpo lo sia, essendo questa la forma di quello (pag. 271)». Da qui l’immagine della Trinità nella configurazione corporea dell’uomo e della donna per la continuazione della specie, ciò da cui nasce un terzo (pag. 273).

Si possono applicare a tale letteratura, cui noi qui facciamo solo cenno, le parole di Pio XII nel discorso alle ostetriche del 29 ottobre 1951: «Purtroppo ondate incessanti di edonismo invadono il mondo e minacciano di sommergere nella marea crescente dei pensieri, dei desideri e degli atti tutta la vita matrimoniale, non senza seri pericoli e grave pregiudizio dell’ufficio primario dei coniugi. Questo edonismo anticristiano troppo spesso non si arrossisce di erigerlo a dottrina […] come se nei rapporti matrimoniali tutta la legge morale si riducesse al regolare compimento dell’atto stesso e come se tutto il resto, in qualunque modo fatto, rimanesse giustificato dall’effusione del reciproco affetto, santificato dal sacramento del matrimonio, meritevole di lode e di mercede dinanzi a Dio ed alla coscienza».

«Creare un clima favorevole all’educazione alla castità»

È senza dubbio opportuno, oggi più che mai, che la predicazione cristiana sul matrimonio e sulla sua preparazione insista sulla sua santità, che non può brillare se non all’interno di un’educazione alla castità ed al pudore, per i quali san Paolo supplicava i suoi cristiani: «Che non si sentano [tra voi] volgarità, insulsaggini, trivialità, cose tutte sconvenienti» (Efesini 5, 4). Humanæ vitæ, questo documento che nell’era post-conciliare suona come un documento «pre-conciliare», richiama giustamente l’attenzione «degli educatori e di quanti assolvono compiti di responsabilità in ordine al bene comune dell’umana convivenza sulla necessità di creare un clima favorevole all’educazione della castità, cioè al trionfo della sana libertà sulla licenza, mediante il rispetto dell’ordine morale».

È opportuno anche sviluppare l’argomento di san Tommaso, che accosta in qualche modo il significato del matrimonio a quello della verginità nel suo commento alla I Lettera ai Corinzi (7, 29-31), per spiegare che occorre permanentemente riporre ogni cosa nell’ordine voluto da Dio: tutti, anche gli sposi, sono chiamati a vivere, per così dire, verginalmente, «poiché passa l’immagine di questo mondo», cioè devono assumersi pienamente tutti i doveri coniugali con l’unico proposito di onorare Dio[19].

È ciò che fa Padre Serafino Lanzetta nel suo libro Semper Virgo. La verginità di Maria come forma[20]. Qui insiste su come il più alto grado di tale configurazione, che ogni cristiano deve realizzare verso la forma mariana, sia innanzi tutto quello delle persone consacrate o dei chierici votati al celibato, che «seguono l’Agnello ovunque vada» (Ap 14, 4), ma essa esiste in grado assai reale anche negli sposi e nelle spose cristiane, il cui stato, nel matrimonio, viene in qualche modo elevato dallo stato di verginità consacrata. Contro coloro che «esaltano il matrimonio a tal punto da preferirlo persino alla verginità e che disprezzano, per questo, la castità consacrata a Dio ed il celibato ecclesiastico» (Pio XII, Sacra virginitas, 25 marzo 1954), Padre Lanzetta riafferma il valore superiore della verginità religiosa e della castità perfetta per il servizio di Dio, poiché lo stato di perfezione è spiritualmente il motore per lo stato comune del matrimonio.

È poco dire che una rivalorizzazione della verginità consacrata è pastoralmente urgente. Pio XII osservava nella stessa enciclica Sacra virginitas, ch’essa rappresentava un compimento più perfetto, anche se non sacramentale, di Efesini 5, 25-30 (il matrimonio simboleggia l’unione di Cristo e della Chiesa): «Le vergini manifestano e rendono pubblica la perfetta verginità della loro madre, la Chiesa, e la santità della sua stretta unione con Cristo. È per questo che, molto saggiamente, sono state scritte le parole, di cui si serve il pontefice nel seguire il rito di consacrazione delle vergini, supplicando Dio in questi termini: “Affinché vi siano anime più sublimi, che, nell’unione dell’uomo e della donna, disdegnino la realtà carnale per desiderare il mistero, ch’essa rappresenta, e invece d’imitare quanto si pratica nel matrimonio, aspirino a ciò ch’esso simboleggia”».

Don Claude Barthe


[1] «Sicuramente, non è soltanto la fecondità, di cui frutto è il figlio, né soltanto la pudicizia, di cui vincolo è la fedeltà, è anche un certo sacramento del matrimonio, che viene affidato ai fedeli sposati» (sant’Agostino, De nuptiis et concupiscentia, Desclée de Brouwer, 1974, pag. 79).

[2] l 3, c. 122, ripreso nel Supplemento alla Somma teologica, q 41, a 1, ad 1.

[3] Ne Le Mariage, Les enseignements pontificaux[Il Matrimonio, Gli insegnamenti pontifici], Desclée, 1960, pag. 4*.

[4] Commento alla prima Lettera ai Corinzi, traduzione Jean-Éric Stroobant de Saint-Éloi, Cerf, 2002, pag. 212 – Ed anche: Suppl. q 49 a 2.

[5] L’«essere» del matrimonio è perfetto dal momento dello scambio del consenso, senza nemmeno la sua «azione» ovvero la sua pratica carnale (Suppl. q 42, a 4). Certo, un matrimonio non consumato potrebbe essere sciolto dalla Chiesa, ma un matrimonio vissuto nella verginità, come q        uello di Maria e Giuseppe, per quanto eccezionale sia, è un autentico matrimonio.

[6] Per «l’uso di farmaci [aventi] come fine quello d’impedire il concepimento, impedendo l’ovulazione» (discorso del 12 settembre 1958).

[7] «Allo stesso modo è da escludersi, come il Magistero della Chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, tanto perpetua quanto temporanea, tanto nell’uomo quanto nella donna».

[8] Apparsa in Polonia nel 1960 – Marietti, 1969.

[9] Sono raccolte in Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Città Nuova Editrice, 2011, X ed., In francese, introdotte e raccolte da Yves Semen in Jean-Paul II. La théologie du corps [Giovanni Paolo II. La teologia del corpo], Cerf, 2014 (=Tdc).

[10] Yves Semen in Jean-Paul II. La théologie du corps, op. cit., Introduzione, pag. 25.

[11] Élodie Maurot, «La « théologie du corps » de Jean-Paul II, une vision de la sexualité audacieuse mais idéalisée [La «teologia del corpo» di Giovanni Paolo II, una visione della sessualità audace ma idealizzata]», La Croix, 23 marzo 2023.

[12] San Paolo Edizioni, 2014.

[13] Ad esempio, Yves Semen non esita a ricordare come il ricorso sistematico all’unione nei periodi non fecondi possa divenire illecito per gli sposi, se motivato dal rifiuto egoistico del donare la vita senza una ragione proporzionata (La sexualité selon Jean-Paul II [La sessualità secondo Giovanni Paolo II], op. cit., pag. 198 – Le indicazioni delle pagine sono riferite all’edizione francese).

[14] Il riferimento di Y. Semen è all’udienza dell’8 ottobre 1980, in cui accentua al massimo il discorso, affermando che l’essenza dell’adulterio sta nel carattere del desiderio e non nel fatto che questo desiderio riguardi la donna altrui. La sexualité selon Jean-Paul II, ed. 2004, op. cit., pagg. 146-147.

[15] Presses de la Renaissance, 2006.

[16] Albin Michel, 2018.

[17] Seuil, 2008, riedizione Points 2014.

[18] Presses de la Délivrance, 2024.

[19] Commento alla prima Lettera ai Corinzi, op. cit., pag. 240.

[20] Casa Mariana Editrice, 2019.