La vacuità del dialogo interreligioso
In un libro del 1913, Les religions laïques. Un romantisme religieux[1] [Le religioni laiche. Un romanticismo religioso], Padre Jean-Martial Besse, benedettino di Ligugé, spiegava come i tentativi di far dialogare le religioni tra loro si ispirino alle ideologie moderne, nate dall’Illuminismo, che mira a sviscerarle. Descriveva, qui, un insieme eterogeneo di cattolici liberali (da lui definiti «neo-cristiani»), che coltivano questo desiderio d’intesa cordiale e che evolvono verso un romanticismo religioso inconsistente.
Ha ricordato dunque il primo tentativo atto a stabilire un dialogo di questo genere, il Parlamento delle Religioni del Mondo, che si era tenuto a Chicago nel 1893. Vi partecipò il cardinale Gibbons, arcivescovo di Baltimora, che aprì la riunione con la recita del Pater. Don Félix Klein, che diffondeva in Francia idee americaniste, e Don Victor Charbonnel hanno voluto ripetere quest’esperimento in occasione dell’Esposizione universale di Parigi nel 1900, ma il tentativo fallì, poiché Leone XIII aveva fatto sapere nel 1895, in una lettera a mons. Satolli, delegato apostolico della Santa Sede presso gli Stati Uniti, di non essere favorevole alla partecipazione di preti cattolici ad iniziative comuni di questo genere.
Scambi di questo tipo, in cui i partner si affidano a ciò che, secondo loro, li unisce per condurre azioni comuni in favore della pace, hanno continuato a svilupparsi tra i protestanti, ma si dovette attendere il concilio Vaticano II e la dichiarazione Nostra Ætate perché avessero pieno diritto di cittadinanza tra i cattolici ed i membri di religioni non-cristiane, però nell’ottica di preparare più efficacemente l’evangelizzazione e mai da istituzione ad istituzione.
Il nuovo processo è rischioso per ciascuno dei soggetti coinvolti, ma evidentemente lo è prima di tutto per la religione di Gesù Cristo, consapevole di godere della pienezza religiosa. Il rischio più immediato per il cattolicesimo consiste nella perdita della sua forza missionaria. È proprio questo, del resto, il punto centrale della critica che si può fare al dialogo, secondo Nostra Ætate: il cattolicesimo viene condotto a riconoscere uno status positivo, non tanto a questo o a quell’elemento di præparatio evangelica, contenuto nelle altre tradizioni religiose, «raggi di verità» (che, in realtà, appartengono a Cristo e alla sua Sposa), che brillano in mezzo ad una miriade di errori e di vie sbagliate, quanto alle tradizioni religiose in quanto tali, che vengono pertanto dichiarate degne di «rispetto sincero»[2].
Nostra Ætate non afferma che queste tradizioni siano strade parallele, dotate in sé di un’esistenza soprannaturale in grado di procurare la salvezza, ma evita di dire ch’esse siano strade false (esse «differiscono per molti aspetti da ciò ch’essa [la Chiesa] sostiene e propone»). Il Vaticano II, come in altri ambiti, ha cercato una posizione intermedia, per quanto possibile, tra ortodossia ed eterodossia, un’eterodossia moderata insomma. Al punto che la Commissione teologica internazionale, puntando il dito contro tale ambiguità, si chiese: «Quanto al dire che le religioni in quanto tali possano avere valore nell’ordine della salvezza, questo è un punto che resta aperto[3]».
Tre fasi possono essere distinte a proposito di questo dialogo voluto dal concilio Vaticano II, le prime due molto simili tra di loro, la terza è ancora di là a venire, pur essendo già iniziata:
- la fase di Assisi, in cui il cattolicesimo invita le altre religioni al dialogo;
- la fase bergogliana, in cui il cattolicesimo spiega alle altre religioni l’unità nella diversità;
- infine, la fase in cui il confronto religioso sta ritrovando quella violenza, che in realtà non ha mai perso.
Assisi: il cristianesimo convoca le confessioni cristiane e le religioni
Il primo incontro di Assisi del 27 ottobre 1986, organizzato da Giovanni Paolo II, resta la vetrina storica del dialogo interreligioso, anche se, in risposta alle critiche, non si trattava di conversare come a Chicago o in altre riunioni simili, bensì di pregare per la pace. E, tenendo conto degli avvertimenti di Leone XIII, si trattava «non di pregare insieme, ma di stare insieme per pregare». I 150 rappresentanti di una dozzina di tradizioni religiose si sono prima riuniti separatamente nelle diverse chiese di Assisi per pregare secondo le proprie usanze, i rappresentanti delle differenti confessioni cristiane si sono ritrovati insieme nella cattedrale di San Rufino. Poi si sono riuniti tutti sulla spianata della basilica di San Francesco, dove ogni religione ha pregato separatamente.
Lo iato rispetto alla tradizione missionaria della Chiesa appariva non solo nello spettacolo inconcepibile offerto al popolo cattolico dal Vicario di Cristo, che si ergeva su un piano di assoluta uguaglianza in mezzo alle false religioni, bensì anche nelle giustificazioni turbate, che venivano fornite. Assisi era stata scelta per questo incontro proprio perché, durante la Quinta Crociata, san Francesco incontrò (rischiando il martirio, va precisato) il sultano d’Egitto Al Kâmil, per conversare con lui. Il fine di Francesco, va da sé, non era quello d’esprimere il suo «rispetto sincero» per l’islam, ch’egli considerava diabolico, bensì di convertire il sultano e, dopo di lui, tutto il suo popolo. Si è fatto riferimento anche ai due interventi di Pio XI, che aveva invitato tutti gli uomini a pregare per la pace nel 1932 (enciclica Caritate Christi) e nel 1937 (Divini Redemptoris). Ma in entrambi i casi, non erano per niente le altre religioni che Pio XI aveva invitato a pregare, bensì gli individui presi singolarmente, coloro che riconoscevano ovviamente l’esistenza di Dio creatore e rimuneratore e che l’adoravano.
Si dice spesso che la dichiarazione Dominus Jesus della Congregazione per la Dottrina della Fede sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa del 6 agosto 2000 abbia corretto Assisi. Lo choc fu in effetti considerevole, così come lo sarebbe stato più tardi quello causato dal bacio dato da Giovanni Paolo II al Corano, offertogli da una delegazione irachena il 14 maggio 1999. Questo desiderio di reinquadramento si trova forse in modo più maturo nell’enciclica Redemptoris missio del 7 dicembre 1990, secondo la quale «il dialogo inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa» (n. 55), che insiste sull’esistenza di «tutto ciò che è vero e santo nelle tradizioni religiose» e sulla scoperta in esse, attraverso il dialogo, dei «semi del Verbo» (n. 56). Tuttavia anche questi documenti parlano positivamente di queste religioni, che sono in quanto tali «un’espressione principale ed essenziale» della ricchezza spirituale dei popoli[4]. In effetti, sia Assisi – come questi testi e lo stesso Concilio richiamano talvolta -, sia l’unicità della salvezza in Gesù Cristo (si veda: Tribune d’un théologien – Res Novae – Perspectives romaines [Tribuna d’un teologo]), sia le altre religioni, degne di «rispetto sincero», possono praticare assieme al cattolicesimo un «mutuo arricchimento»[5].
Il cattolicesimo si pone dunque sullo stesso piano delle altre religioni? Nient’affatto. Per la giornata di Assisi (ed anche per quelle che seguirono nel 2011, sotto Benedetto XVI, e nel 2016, sotto Francesco) è stata la religione cattolica ad aver invitato le altre a riunirsi per pregare in favore della pace. Si è detto talvolta di un sottile ritorno ad un «imperialismo» papale, che si evidenziò soprattutto nel 1986, quando Giovanni Paolo II assunse un ruolo politico nel contribuire a far scricchiolare l’impero sovietico.
Dal punto di vista del dialogo tale «imperialismo» va ancor più lontano di quel che si dica. Perché, in realtà, le altre tradizioni religiose e le altre Chiese cristiane non hanno la forma centralizzata e dottrinalmente unificata (almeno in tempi ordinari) della Chiesa cattolica. Occorre dunque che la Roma in dialogo, tanto quello ecumenico quanto quello interreligioso, ricerchi e scelga in mezzo ai religiosi disposti a parteciparvi quelli che ritiene più rappresentativi tra gli ortodossi, i protestanti, così come tra i buddhisti e gli scintoisti, eliminandone molti altri. Infine, a parte il peso sociologico che tali religioni hanno, ciò che le fa esistere come partner, avendo esse la capacità di dialogare, è la scelta compiuta da parte cattolica. Essa conferisce loro – non osiamo dire magisterialmente – un’esistenza, ne fa delle entità unificate ad essa simili, il che è particolarmente evidente quando cerchi di mettere un po’ d’ordine nel polverone delle religioni animiste, mescolate e rimescolate con mille sincretismi, per trovarvi degli interlocutori.
Ed in cambio, benché sia la confessione che invita al dialogo, il cattolicesimo si ritrova, di fatto, ad essere una di queste religioni, posto in mezzo a loro. È questo il peccato originale del dialogo secondo Nostra Ætate, che si genuflette dinanzi alla società liberale, la quale considera la Chiesa come un’associazione spirituale tra le altre.
Francesco: il cattolicesimo spiega alle altre religioni l’unità nella diversità
Come per tutte le «intuizioni» del Vaticano II, il dibattito è aperto nello spazio creato dal compasso conciliare tra «ermeneutica di riforma nella continuità», con le precauzioni riguardanti la giornata di Assisi di Giovanni Paolo II, ed «ermeneutica della discontinuità e della rottura», con le dichiarazioni di Papa Francesco in tema di religioni: «Il pluralismo e le diversità di religione, colore, sesso, razza e lingua rappresentano una saggia volontà divina» [il corsivo è nostro] (Abu Dhabi, 4 febbraio 2019). Ma si resta nello spazio aperto dal compasso conciliare: interpretazione moderata o interpretazione massima. La Dichiarazione di Abu Dhabi è stata d’altronde da lui rivendicata come un’interpretazione del Concilio durante il volo di ritorno a Roma: «Dal punto di vista cattolico, questo documento non è andato un millimetro più in là del Concilio Vaticano II». Affermare che la diversità delle religioni deriva dalla volontà divina resta, in effetti, nell’ambito del rispetto che ormai la Chiesa accorda loro, ma portandolo ai massimi livelli.
La questione è stata sottolineata dai discorsi e dalle dichiarazioni ch’egli ha fatto nel Sud-Est asiatico, durante un recente viaggio. A Giacarta, in Indonesia, il 5 settembre 2024, nella moschea Istiqlal: «Che tutti, tutti noi insieme, ciascuno coltivando la propria spiritualità e praticando la propria religione, possiamo camminare alla ricerca di Dio». E soprattutto a Singapore, il 13 settembre, in un incontro interreligioso con i giovani al Collegio Cattolico Junior: «Tutte le religioni rappresentano un cammino verso Dio. Esse sono – faccio un paragone – come lingue differenti, come idiomi differenti, per arrivarci. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. “Ma il mio Dio è più importante del vostro!”. È vero? C’è un solo Dio e noi, le nostre religioni sono delle lingue, percorsi verso Dio».
Bisogna dire che nella visita in Indonesia ed in questi discorsi c’è un elemento molto politico. Chi si stupirebbe di sentir ciò da Francesco? In un Paese, in cui la stragrande maggioranza religiosa (più di 209 milioni di musulmani, 23 milioni di cristiani ed oltre 10 milioni di buddhisti, indiani e confuciani) sta divenendo esplosiva per il risveglio delle religioni in Asia, per la crescita dell’islamismo e per la creazione di gruppi d’autodifesa religiosa estremamente muscolari, il presidente Jokowi sta attuando un programma di «moderazione religiosa», cercando di valorizzare degli ideali religiosi pacifici, che facilitino la tolleranza. È come se Francesco fosse venuto ad aiutare Jokowi. Da qui la firma della Carta di Giacarta con l’imam della moschea Istiqlal, carta di «moderazione religiosa»: «Il dialogo interreligioso dev’essere riconosciuto come uno strumento efficace per risolvere i conflitti […] provocati dall’eccesso di religione».
«I riti, le pratiche ed altro costituiscono un patrimonio tradizionale, che dev’essere protetto e rispettato [il corsivo è nostro]; ma ciò che si trova “sotto”, ciò che scorre in modo sotterraneo come il “tunnel dell’amicizia”, vale a dire la radice comune a tutte le sensibilità religiose è unico: è la ricerca dell’incontro col divino, la sete d’infinito che l’Altissimo ha posto nei nostri cuori», ha detto a Giacarta, 5 settembre 2024, moschea Istiqlal. Si potrebbe al limite sostenere che Francesco parlasse del senso religioso, che si trova in ogni uomo, e che intendesse dire che non bisogna rifiutare nulla «di ciò che è vero e santo in queste religioni», il tutto in linea con Nostra Ætate[6]. Perché dopo tutto il riconoscimento di una religione comporta necessariamente il riconoscimento più o meno di una certa sua efficacia salutare, di un certo suo «cammino verso Dio». Francesco rende esplicita così la portata relativistica del dialogo interreligioso conciliare.
Ma, così facendo, paradossalmente accentua anche l’«imperialismo» di questo dialogo, poiché dà una lezione alle altre religioni, in particolare all’islam (di cui affermava nell’Evangelii Gaudium: «Il vero islam ed un’adeguata interpretazione del Corano s’oppongono ad ogni violenza», n. 253), spiegando ch’esse sono relative: sono vie tra le altre per giungere a Dio.
Così il cattolicesimo, sotto le parvenze della modestia più estrema, per incontenibile abitudine, mantiene un ruolo docente, resta missionario, ma la sua nuova missione è quella d’inoculare nelle tradizioni religiose il virus relativista del rispetto reciproco verso le altre vie. Il dialogo, secondo Nostra Ætate, conduce ad un proselitismo rovesciato, un proselitismo dell’anti-proselitismo.
Il sangue dei martiri
Giunge anche ad un vicolo cieco. Quali risultati ha prodotto, in effetti? Ha accentuato il fatto che un numero importante di cattolici versi nel relativismo sentimentale e si conformi allo spirito del tempo. In Occidente il religioso «duro e puro» sta scomparendo a grande velocità, tranne nel caso dell’islam, la cui presenza è sempre più forte. Ma il religioso, che rimane nell’ultra-modernità è individualizzato, de-istituzionalizzato ed estremamente frammentato all’interno di ogni gruppo religioso. È divenuto una sorta di senso religioso diffuso che ciascuno organizza a proprio piacimento e che conviene al limite anche a chi non abbia religione[7].
Davvero senza eccezioni. L’affermazione classica secondo cui gli Stati Uniti sono una democrazia laica altamente confessionale è sempre meno pertinente. I giovani, al di sotto dei 40 anni, sono meno praticanti, sempre più individualisti, compresi gli evangelici, che hanno costituito una parte non trascurabile dell’elettorato di Donald Trump e che sono sempre più, tra i giovani, evangelisti più per tradizione che per pratica. Numerosi protestanti americani abbandonano la religione, così come accade anche a molti cattolici, nonostante il declino del cattolicesimo sia mascherato dall’arrivo degli immigrati latinos. La stessa Russia, più occidentale di quanto non si creda, si sta secolarizzando e si sta individualizzando. La religione ortodossa, che ha ritrovato grande potenza e visibilità, non esercita tuttavia una grande influenza sulla società, soprattutto per quanto concerne la morale familiare. E la pratica religiosa è sorprendentemente bassa.
Eppure, il dogma cattolico resiste, per quanto sia mal difeso dai guardiani della gerarchia, così come il credere nelle altre religioni. Papa Francesco allora sottolinea: «Si pensa talvolta che l’incontro tra le religioni consista nel ricercare a tutti i costi un terreno comune tra differenti dottrine e professioni religiose. In realtà, può capitare che un tale approccio finisca per dividerci. Perché le dottrine ed i dogmi di ogni esperienza religiosa sono diversi»[8].
Così, nonostante il relativismo contenuto nelle dichiarazioni di Francesco ad Abu Dhabi, a Giacarta ed a Singapore, la consapevolezza delle differenze s’accresce. Il dialogo, quindi, non serve a niente? Certi teologi sostengono addirittura ch’esso sia radicalmente impossibile, come Marc Boss, protestante, che in «Plaidoyer pour un inclusivisme paradoxal»[9] [«Arringa per un inclusivismo paradossale»] ritiene che i teologi delle religioni debbano in definitiva ammettere il carattere puramente intra-religioso del loro approccio: essi possono parlare degli altri solo se sono disposti ad applicare alle altre tradizioni i costrutti di pensiero loro specifici. Sulla stessa linea, Padre Remi Chéno, domenicano, cerca di superare il pluralismo (tutte le religioni sono percorsi diversi, che conducono a Dio) attraverso una via in cui i credenti delle varie tradizioni concordino circa le proprie insuperabili differenze con visioni assolutamente diverse le une dalle altre (comprese le parole Dio, dei, divinità, che resistono all’identificazione di un mondo religioso rispetto ad un altro)[10].
Giustamente, se l’Occidente è una prova della dissoluzione del dato religioso nel relativismo, l’Asia potrebbe essere il luogo per la riaffermazione delle differenze insuperabili. È vero che il risveglio delle intransigenze religiose e del loro proselitismo – compreso il buddhismo sotto la forma della conquista sincretistica sua caratteristica – è in molti luoghi impressionante. In India – dove l’induismo, religione dominante, conta oggi il 74,8% di una popolazione pari a 1,40 miliardi di abitanti -, le ultime elezioni legislative, vinte dal primo ministro Narendra Modi, leader del partito nazionalista indù BJP (Partito del Popolo Indiano), hanno posto in luce l’influenza decisiva di un induismo aggressivo e violento, soprattutto nei confronti dell’islam. Anche in Cina, Claude Meyer[11] parla di una «rinascita eclatante» dell’ambito spirituale, del buddhismo, del cristianesimo e dell’immenso mondo delle religioni popolari, che ormai beneficiano tutte di un liberalismo alquanto inquadrato dal Partito. È, del resto, possibile che le concessioni religiose del Partito siano dovute all’inquietudine provocata da un islam combattivo e talvolta terrorista.
Fino al cattolicesimo, che se la cava egregiamente, per quanto minato sia dal liberalismo dell’ultramodernità e secondariamente dal dialogo, che tenta di accordare: in Corea del Sud, si registra un aumento del 50% nel numero dei cattolici tra il 1999 ed il 2018. E la Corea del Nord rafforza «in negativo» tale dato nella misura in cui è in testa alla lista sinistra dei Paesi, che perseguitano il cristianesimo con incarcerazioni, torture ed esecuzioni. A livello mondiale, le statistiche parlano di oltre 360 milioni di cristiani perseguitati, cifra che non cessa di aumentare: 1 cristiano su 7 viene perseguitato nel mondo in generale, 1 su 5 in Africa, 2 su 5 in Asia e nel Medio Oriente, dove la persecuzione è tale da far scomparire il cristianesimo dalle terre in cui è nato. E presto in Europa? In Europa già ora, a causa dell’emarginazione aggressiva, della dittatura delle ideologie dominanti, delle aggressioni e delle profanazioni[12]. Come all’inizio, il carattere assoluto del cattolicesimo s’afferma nella sofferenza e nel sangue della truppa innumerevole di martiri, che entrano nella gloria celeste.
Don Claude Barthe
[1] Parigi, Nouvelle Librairie nationale.
[2] «La Chiesacattolica nulla rigetta di quanto sia vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine [il corsivo è nostro] che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità, che illumina tutti gli uomini. Tuttavia essa annuncia ed è tenuta ad annunciare il Cristo, che è “via, verità e vita” (Gv 14, 6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con sé stesso tutte le cose» (Nostra Ætate,n. 2).
[3] «Le christianisme et les religions» [«Il cristianesimo e le religioni»], 1997, n. 81.
[4] Redemptoris missio, n. 55.
[5] Dominus Jesus, n. 8.
[6] «Dai tempi più antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una certa sensibilità a quella forza arcana che è presente al corso delle cose e gli avvenimenti della vita umana ed anzi talvolta vi riconosce la Divinità suprema o il Padre. Questa sensibilità e questa conoscenza compenetrano la vita in un intimo senso religioso. Quanto alle religioni legate al progresso della cultura, esse si sforzano di rispondere alle stesse questioni con nozioni più raffinate e con un linguaggio più elaborato» (Nostra Ætate, n. 2).
[7] Cfr. Jean-Claude Basset, «Les chrétiens face à la diversité religieuse» [«I cristiani di fronte alla diversità religiosa»] in Les chrétiems et la diversité religieuse. Les voies de l’ouverture et de la rencontre [I cristiani e la diversità religiosa. Le strade dell’apertura e dell’incontro], Jean-Claude Basset e Samuel Désiré Johnson (con la direzione di), Karthala, 2011.
[8] Moschea Istiqlal, Giacarta, 5 settembre 2024.
[9] In Les chrétiens et la diversité religieuse, op. cit.
[10] Remi Chéno, Dieu au pluriel. Penser les religions [Dio al plurale. Pensare le religioni], Cerf, 2017.
[11] Claude Meyer, Le renouveau éclatant du spirituel en Chine. Renaissance des religions, répression du Parti [La brillante rinascita dello spirituale in Cina. Rinascita delle religioni, repressione del Partito], Bayard, 2021.
[12] Marc Eynaud, Qui en veut aux catholiques? [Chi dà la colpa ai cattolici?], Artège, 2022.