02/04/2020

« Conversione ecologica », l’ennesimo tentativo di accordarsi con il mondo

Par l'abbé Claude Barthe

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Da quando hanno cominciato a confrontarsi con il mondo nato dalla Rivoluzione, i cattolici hanno spesso messo in atto dei tentativi di conciliazione, adottando temi propri delle ideologie laiche e  provando a « battezzarle ». Chi si impegna in questi tentativi, spera così di rendere inoffensiva in qualche modo l’ostilità del mondo e allo stesso tempo di legittimare il messaggio della Chiesa nel mondo, con il rischio implicito di indebolirne il messaggio. Nell’articolo « Per una Chiesa verde »

, l’abbé Perrot ne analizza uno dei più recenti, che spinge molto lontano l’attenuazione della specificità del messaggio evangelico.

In precedenza, Giovanni Paolo II, come ci ricorda Jean-Marie Perrot, aveva cercato di cattolicizzare i diritti umani. In una prospettiva abbastanza simile, aveva anche presentato una rischiosa difesa dell’enciclica Humanae vitae, in linea con la corrente del pensiero personalista, sviluppando una « teologia del corpo »[1].

Si potrebbero citare molti altri esempi più indietro nella storia, come quello di quei sacerdoti e vescovi – non necessariamente i più « progressisti » dell’epoca[2] – che nel 1848, animati da una pia illusione, benedissero gli alberi della libertà spiegando con confusa ingenuità che il motto repubblicano di « libertà, uguaglianza, fraternità » era prima di tutto cristiano.

Il periodo più vicino a noi, presenta però una caratteristica che aggrava notevolmente questo fenomeno di conciliazione: è diventato insomma un nuovo modo di essere del cattolicesimo. Infatti, i testi fondanti di quello che è stato chiamato « lo spirito del Concilio », cioè la dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, il decreto Unitatis redintegratio sull’ecumenismo e la dichiarazione Nostra aetate sulle religioni non cristiane, suggeriscono che le società religiose diverse dalla Chiesa godono di un’imperfetta, anche molto imperfetta ma reale, esistenza soprannaturale.

Queste conciliazioni sono mortali: questo sacrificio sull’altare del relativismo moderno (che, tuttavia, si riteneva « moderato »), è stato logicamente accompagnato da un relativismo interno. Abbandonando la « rigidità » delle formulazioni del Credo a favore dell’insegnamento pastorale, il modo stesso di pensare la fede è stato scosso nelle sue fondamenta. E, in modo naturale, proprio dalla libertà religiosa, che in linea di principio era stata stabilita ad extra, si è arrivati alla rinascita, all’interno del mondo ecclesiastico, di ciò che Leone XIII aveva condannato nella lettera Testem benevolentiae(1899), cioè l’introduzione di « una certa libertà nella Chiesa » sul modello della « libertà moderna ». Infatti, accettando come legittimo ciò che è il fondamento stesso della società moderna (« Per il resto nella società va rispettata la norma secondo la quale agli esseri umani va riconosciuta la libertà più ampia possibile, e la loro libertà non deve essere limitata, se non quando e in quanto è necessario », Dignitatis humanae n. 7), la Chiesa non può negarla ai suoi membri. 

Di fatto, l’indifferenza moderna per il peso della verità è stata interiorizzata in una certa misura dal cattolicesimo. Parlando la lingua che gli uomini vogliono sentire, smette però di parlare la lingua che potrebbe salvarli. Gli atti lo dimostrano: Ieri, il 27 ottobre 1986, giornata di Assisi, quando tutte le religioni del mondo si sono trovate alla pari a pregare per la pace; oggi, il 15 ottobre 2020, il raduno a Roma di tutti i partecipanti alla ricostruzione di un « patto educativo globale », una vaga impresa umanista, senza riferimenti cristiani, per « un’educazione più aperta e inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione », con l’obiettivo di formare persone « capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna « . Umanesimo o nullità verbale?

In definitiva, la storia di questi tentativi di « aggiramento » non è stata soltanto una lunga storia di fallimenti, ma porta logicamente all’insignificanza, di cui ci si potrebbe anche rallegrare tolto il fatto che in questo modo anche il messaggio del Vangelo viene reso insignificante.

Abbé Claude Barthe

[1]        . Laurent Jestin, « Tentative de conciliation. Les catéchèses sur la “théologie du corps” » – Tentativi di conciliazione. Catechesi sulla teologia del corpo – (Tu es Petrus, primavera  2018, n. XVIII, pp. 3-10), che, tra le difficoltà suscitate da questo tentativo, nota il seguente sofisma: l’anteriorità strumentale (l’unione carnale che dà procreazione) si trasforma in una priorità di valore, di fine. Anche in questo caso il metodo descrittivo mostra i suoi limiti. Rende più difficile definire la gerarchia delle finalità del matrimonio: la nascita e l’educazione dei figli (primo fine), il sostegno reciproco degli sposi, la grazia del sacramento che permette agli sposi di superare i movimenti disordinati della carne nel suo esercizio (secondo fine).

[2]        . Il futuro Cardinale Pie, vicario generale di Chartres, chiamato a benedire l’albero della libertà cittadino.