24/09/2020

Di nuovo sull’elezione di Papa Francesco

Par Don Pio Pace

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Il libro di Gerard O’Connell, corrispondente da Roma della rivista gesuita America e della rete televisiva canadese di CTV, The Election of Pope Francis (Orbis Books, 2019) fornisce una serie di spunti per la lettura del conclave 2013.

Certamente l’amicizia di lunga data tra Gerard O’Connell e sua moglie per Jorge Bergoglio impone una certa accortezza nella valutazione delle sue informazioni: secondo lui, il cardinale di Buenos Aires è venuto a Roma senza il minimo sospetto di poter essere eletto (aveva comprato il biglietto di ritorno a Buenos Aires prima della Settimana Santa!); non ha fatto nulla, sempre secondo O’Connell, che potesse assomigliare a una campagna elettorale (queste campagne di tipo piuttosto particolare, con pranzi in compagnia di altri cardinali, crescita esponenziale dei contatti, ripetute smentite sulla possibilità di essere l’eletto del conclave). O’Connell però pubblica anche una serie di informazioni di prima mano fornite direttamente dai partecipanti a quel conclave (violando così di fatto il loro giuramento di silenzio fatto all’ingresso al conclave, o avendo addirittura ricevuto il permesso di rivelarle dal Sommo Pontefice stesso).

Conferma inoltre che tutti i disordini e gli scandali delle fughe di notizie che si erano manifestati nell’entourage di Benedetto XVI durante il suo pontificato, hanno pesato sulla scelta compiuta dai cardinali. Volevano un uomo dal carattere autoritario e che si presentasse come riformatore della Curia: dopo un Papa paralizzato o auto-paralizzato, avevano bisogno di un pontefice capace di ottenere l’obbedienza. Vale la pena notare che il cardinale che è apparso come il miglior candidato al compromesso in caso di impossibilità di raccogliere abbastanza voti per un favorito è stato Péter Erdő, arcivescovo di Budapest.

Gerard O’Connell ha avuto dunque gli elementi per poter dare i risultati dei quattro scrutini che hanno portato all’elezione di papa Francesco [i commenti su queste schede sono nostri]:

– Martedì 12 marzo, votazione serale, il primo scrutinio nei conclavi rappresenta una sorta di « primarie »:

◦ Scola (Arcivescovo di Milano): 30

◦ Bergoglio: 26

◦ Ouellet (Prefetto della Congregazione per i Vescovi): 22

◦ O’Malley (Arcivescovo di Boston): 10

◦ Schererer (Arcivescovo di San Paolo): 4

Il cardinale Scola, l’uomo della continuità di Benedetto XVI e il suo quasi-delfino (1), ha avuto meno voti del previsto (si prevedeva ne avesse 40 nel periodo pre-conclave), ovviamente per la forza del clan anti-scola italiano (cardinali Bertone, Re, Coccopalmerio) che ha preferito dare il proprio voto o a Bergoglio o all’altro ratzingeriano « in corsa », il cardinale canadese Marc Ouellet. La sorpresa è stata nell’alto numero di voti ricevuti dal cardinale Bergoglio al primo scrutinio. Strana sorpresa, perché dobbiamo ricordare che, nelle elezioni del 2005, Bergoglio aveva ottenuto 40 voti contro 72 a Ratzinger nella terza votazione.

– Mercoledì 13 marzo, 1° voto al mattino:

◦ Bergoglio: 45

◦ Scola: 38

◦ Ouellet: 24

◦ O’Malley: 3

Il grande beneficiario della nuova distribuzione delle preferenze è stato Bergoglio. Scola ha aggiunto solo 8 voti ed è chiaro che Ouellet non aveva chiesto ai suoi sostenitori di votare per Scola. La partita era finita, a meno che – per evitare che due terzi dei voti (77) andassero a Bergoglio – non si facesse ricorso alla vecchissima tattica della « minoranza di blocco ». Ma questo non è mai stato usato nei conclavi moderni.

– Mercoledì 13 marzo, 2° voto mattutino:

◦ Bergoglio: 56

◦ Scola: 41

◦ Ouellet: 14

La dinamica era ormai a favore di Bergoglio, la persistente divisione dei ratzingeriani tra Ouellet e Scola gli ha impedito di fermarla.

– Mercoledì 13 marzo, votazione serale:

(sappiamo che in realtà ci sono state due votazioni, di cui la prima è stata annullata immediatamente perché nel calice che fungeva da urna c’erano 116 schede ovverosia una di troppo).

◦ Bergoglio: 85 (così come il cardinale Ratzinger che nel conclave del 2005 è stato eletto con 84 voti alla quarta votazione).

◦ Scola: 20

◦ Ouellet: 8

Lele 19:06. La fumata bianca poteva essere liberata e la grande campana di San Pietro iniziava a suonare. Il papa eletto aveva 76 anni, ma i suoi amici ripetono comunque le parole dell’ex arcivescovo di Santiago del Cile, Francisco Javier Errázuriz Ossa: Jorge Bergoglio è certamente anziano, ma « quattro anni di Bergoglio possono bastare per cambiare molte cose ».

Non ci sarebbe quindi stato un Benedetto XVII, anche se qualcuno poteva averci creduto per qualche istante perché un segretario della Conferenza episcopale italiana ha per errore annunciato l’elezione del cardinale Scola.

Così si è arrivati a voltare pagina sull' »ermeneutica della continuità ». Ma anche se fosse stato eletto un Benedetto XVII, sarebbe sopravvissuto Benedetto XVI? Si è spesso rimarcato come il discorso teologico di Angelo Scola, per quanto intellettuale, manchi di chiarezza. Ma il pensiero di Marc Ouellet non è comunque più chiaro. Nella presentazione dell’Instumentum Laboris del Sinodo su « La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa », che si è tenuto nel 2008, e che ha firmato, il Cardinale del Québec ha detto: « Grazie alla visione trinitaria e cristocentrica del Concilio Vaticano II, la Chiesa ha rinnovato la consapevolezza del suo mistero e della sua missione. Infatti, la Costituzione dogmatica Dei Verbum ha segnato una vera svolta nel modo di affrontare la Rivelazione divina…[…] I Padri conciliari hanno messo l’accento sulla dimensione dinamica e dialogale [3] della Rivelazione come autocomunicazione personale di Dio, ecc. » Discorsi vuoti di questo genere possono svilupparsi all’infinito senza alcun beneficio tangibile per la risurrezione del cattolicesimo.

Come osserva padre Serafino Lanzetta in un articolo pubblicato il 13 luglio 2020 sul blog di Aldo Maria Valli, « Il Vaticano II e il Calvario della Chiesa », questa via ratzingeriana e riformista non era già intrinsecamente impotente, in quanto considerava la necessità di interpretare: « Affidarsi all’ermeneutica per risolvere il problema della continuità è già un problema in sé stesso. In claris non fit interpretatio, recita un noto adagio, per cui se la continuità non dovesse essere dimostrata con l’interpretazione non ci sarebbe bisogno dell’ermeneutica come tale. »?

Pio Pace

1. Come è giusto che sia, nella sua autobiografia in forma di intervista a Luigi Geninazzi (Ho scommesso sulla libertà. Autobiografia, Solferino, 2018), Angelo Scola afferma di non aver mai creduto nella possibilità di diventare Papa.