01/06/2020

La Via sinodale tedesca: un processo rivoluzionario
Verso una Chiesa società democratica plurale

Par l'abbé Jean-Marie Perrot

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Il 1° dicembre 2019 è iniziato un Cammino sinodale in Germania. La decisione è stata presa in primavera dalla Conferenza episcopale tedesca, con il sostegno e la collaborazione dell’autorevole e potente Comitato centrale dei cattolici tedeschi (1). Quest’ultimo, tuttavia, darebbe il proprio appoggio solo se il processo e i suoi risultati fossero « vincolanti ».
Perché questa decisione? Dichiarazioni e documenti indicano che la fonte o almeno l’occasione della convocazione del Cammino sinodale si trova nel Rapporto MHG (2), pubblicato nell’autunno del 2018 da una commissione indipendente, sugli abusi ai minori da parte di sacerdoti. Il rapporto metteva in discussione il potere nella Chiesa, il celibato nella vita sacerdotale e la morale sessuale della Chiesa; secondo il documento finale, questi non erano elementi legati a circostanze o individui, ma alla struttura stessa della Chiesa: in breve, « fattori specificamente cattolici », affermava lo stesso rapporto. A questo atto d’accusa alla Chiesa come istituzione, la Conferenza episcopale ha deciso che si doveva dare una risposta istituzionale nel suo funzionamento e nei suoi risultati: un processo sinodale, che portasse a risoluzioni vincolanti.
Negli ultimi mesi quattro forum preparatori hanno lavorato, ciascuno su un tema: i tre fattori individuati dal rapporto, ai quali se ne è aggiunto un altro sulle donne. Un documento che raccoglie i contributi di questi gruppi è stato prodotto per la prima assemblea del Cammino sinodale, il 30 gennaio e il 1° febbraio 2020 (3).
I quattro contributi hanno lunghezza e forma assai differenti, ma formano un insieme coerente, almeno su due livelli. Il primo è la scarsità delle fonti prodotte rispetto alle affermazioni categoriche avanzate, che mettono in discussione punti che il magistero afferma come definitivamente acquisiti (come l’ordinazione delle donne), con un appello alla supposta unanimità della teologia e dell’esegesi contemporanee. Non ci sono note a piè di pagina, e le citazioni e i riferimenti nel corpo del testo – la maggior parte dei quali al Concilio Vaticano II – suonano più come incantesimi o manifestazioni di un certo « spirito » (quello del Vangelo, quello del Concilio) che argomenti o dimostrazioni delle tesi avanzate.
Il secondo aspetto comune a tutti e quattro i testi è la loro serena affermazione del processo sinodale come processo rivoluzionario, aggettivo qui inteso in senso tecnico e non solo riferito a cambiamenti importanti. Ne descriviamo i cinque tratti caratteristici che danno la forma ad un programma assolutamente coerente:


1- Introdurre nella Chiesa gli standard di una società democratica pluralistica


Visto che è in crisi (chi?), tanto da non poter più svolgere il ruolo che le spetta: « La Chiesa cattolica è in una profonda crisi. Potrà compiere la sua missione solo se la affronterà e lavorerà seriamente per trovare una soluzione. Questa crisi non viene da fuori della Chiesa, ma ha la sua origine all’interno. » Più precisamente – prosegue il testo del forum sul potere nella Chiesa – vanno evidenziate due forti tendenze: forti « tensioni » (si legga: contraddizioni) tra dottrina e pratica, ma anche tra l’esercizio del potere nella Chiesa e gli « standard di una società pluralistica in uno Stato costituzionale democratico, a cui molti cattolici immaginano di ispirarsi nella loro Chiesa ». La tragedia degli abusi sessuali sui minori – gli eventi stessi e il fallimento di una risoluzione interna – ha messo sotto i riflettori il problema. Il dramma non è la crisi in sé, ma la sua rivelazione. E se – il cinismo a questo punto viene quasi a galla – si vuole trovare qualcosa di positivo in questa situazione, non ci si può far sfuggire l’opportunità offerta dal rapporto MHG.
Qui il lettore può stupirsi che nei documenti inviati alla prima assemblea sinodale nulla faccia riferimento a quelle analisi che avrebbero dovuto necessariamente essere menzionate: Pensiamo prima di tutto al testo di papa Benedetto XVI, pubblicato l’11 aprile 2019, e alla messa in evidenza delle cause stesse del dramma dell’abuso: il contesto sociale della liberazione della morale, lo sconvolgimento dell’insegnamento della teologia morale, il rifiuto del magistero; cosa che ha portato a gravi carenze e problemi nella formazione dei seminari, la scelta dei vescovi, la legislazione canonica. Non si parla neppure delle analisi e denunce dell’atteggiamento delle autorità ecclesiali che non hanno utilizzato gli strumenti giuridici, disciplinari e punitivi a loro disposizione.

2- Denuncia della potestas sacra come fattore responsabile

Perché un responsabile c’è, il « modello di Chiesa prevalente in Germania, caratterizzato da un’enfasi eccessiva sul ministero ordinato come « potere sacro » (potestas sacra), quello di una gerarchia in cui i fedeli sono considerati unilateralmente come dipendenti dai sacerdoti ». Ora « la concentrazione del potere sacramentale, legislativo, esecutivo, amministrativo e giuridico è uno sviluppo del XIX secolo ». Leggiamo, dunque: non c’è quindi nulla di tradizionale nella potestas sacra. Al contrario – sempre seguendo il documento -, il Vangelo, il Concilio Vaticano II e l' »argomentazione unanime della teologia scientifica » descrivono una figura completamente diversa della Chiesa, caratterizzata dalla fondamentale uguaglianza dei battezzati (uomini e donne indifferentemente). C’è un ministero, ma è solo servizio, e quando parliamo di gerarchia, dovremmo intenderla solo in termini di rapporto interno tra i tre gradi del ministero ordinato e la loro comune sottomissione a Gesù Cristo Capo, ma non certo in termini di rapporto con il popolo di Dio. Altrimenti, la fedeltà a Gesù Cristo e la credibilità dell’evangelizzazione sono compromesse. Peggio ancora… quello che deve succedere succede: « Una sacralizzazione del potere che pretende di essere di Dio per sottrarsi al controllo del popolo di Dio contraddice la santità della Chiesa e conduce al peccato. » Si doveva osare…
Ci sarebbero molte osservazioni da fare su questo punto; ma, come abbiamo sottolineato, i documenti mancano di qualsiasi riferimento critico. Non si sa, quindi, a quale background intellettuale rispondere… o anche se ce ne sia uno! Ci limiteremo a un solo aspetto, giocando la carta dell’appello al Concilio Vaticano II onnipresente in queste pagine. Pagine che sembrano ignorare il fatto che la potestas sacra è stata evidenziata da questo Concilio, al fine – e non ci occuperemo qui della questione teologica fondamentale – di andare oltre il binomio « potere dell’ordine » e « potere della giurisdizione », giudicato insoddisfacente. L’interpretazione comune post-conciliare è che esiste un solo potere sacro, ricevuto all’ordinazione, ma che per il suo esercizio ha bisogno di una determinazione canonica e giuridica. È anche questa posizione comune di oggi – e ancor più la classica posizione dei due poteri di ordine e di giurisdizione – che viene criticata e addirittura capovolta. A meno che l’espressione potestas sacra non sia uno slogan, cosa di cui dubitiamo. In ogni caso, per la sua associazione agli abusi, ha assunto un valore assolutamente respingente.

3- Prendere il potere o prendere un posto accanto ad esso, prima della sua scomparsa

Coerentemente, la posizione che emerge è infatti quella di un potere che viene da Cristo attraverso il popolo di Dio, che è, su questa terra, il suo depositario e principale agente. La concezione della gerarchia di cui sopra va in questa direzione. E ancor di più, ciò che si è sviluppato dell’uguaglianza sostanziale dei battezzati in una riappropriazione dei tre poteri o munera che sono quelli della Chiesa gerarchica, dei ministri ordinati (insegnamento, santificazione e governo), esprime molto chiaramente la teoria di un potere popolare.
Per quanto riguarda l’insegnamento, i documenti si pongono sotto il doppio patronato delle formule tradizionali che sono riapparse nell’attualità ecclesiastica su impulso di papa Francesco: da un lato il sensus fidelium o sensus Ecclesiæ, che ha « un valore teologico fondamentale », anche se « non c’è una procedura adeguata con cui possa far valere i suoi diritti » – il che è piuttosto deplorevole. D’altra parte, c’è l’idea che tutti i discorsi sono legittimi se sono cum Petro et sub Petro (4) – ma anche qui, ci si aspetterebbe invano una spiegazione…
Per la santificazione, tutto ha a che fare con la relativizzazione del grado di autorità dei testi che riservano i ministeri ordinati a singoli uomini, con l’affermazione di una presunta unanimità della ricerca teologica e con l’insopportabile tensione tra i due (magistero e teologia).
A livello di governo, è nella logica dell’uguaglianza battesimale e del ministero come servizio che le modalità di governo assumono una forma democratica, elettiva per la nomina dei governanti (compresi i vescovi), e deliberativa per il suo esercizio e controllo. Basterà un solo stralcio – che mette in atto la seconda delle decisioni principali da prendere: « Le diocesi e le parrocchie svilupperanno gli organi consultivi e decisionali esistenti, che differiscono molto da una diocesi all’altra, in modo tale che nelle questioni pastorali, personali e finanziarie nulla sia deciso, attuato e valutato senza la consultazione e l’accordo degli organi competenti, composti da laici e clero eletti in modo indipendente.” (5)
Cosa sarà esattamente? Questione interessante. Queste affermazioni infatti non sono nuove. Ciò che è forse nuovo è che presto potranno trovarne una traduzione istituzionale concreta, poiché, ricordiamo, la Conferenza Episcopale si è impegnata a rendere vincolanti le decisioni risultanti dal Cammino sinodale. Sembrerebbe che la prima assemblea sinodale non non abbia lasciato presagire nulla di definito. La « Conférence des baptisé-e-s francophone » (6) ne ha parlato sul suo sito web in due articoli: nel secondo, scritto al termine dell’assemblea, emerge il timore che « i quattro temi scelti per il cammino sinodale [siano] solo un mezzo per riconquistare una certa notorietà » recentemente persa con la crisi degli abusi sessuali. Per andare oltre, « senza dubbio saranno necessarie posizioni più chiare ». Ma l’apertura dei dibattiti permette anche di esprimere posizioni chiare nella direzione opposta: « Il Cardinale Rainer Maria Woelki di Colonia in particolare ha espresso, tra l’altro, che i suoi più grandi timori erano giustificati, che la costituzione gerarchica della Chiesa veniva messa in discussione, che molti degli argomenti addotti non erano compatibili con la fede e l’insegnamento universale della Chiesa, che questa assemblea era, per così dire, come un parlamento ecclesiastico protestante… Al che gli è stato detto che essere protestante non era un insulto! » Recentemente, Monsignor Bätzing, presidente della Conferenza Episcopale tedesca, si è dichiarato « molto favorevole a portare a Roma le idee e le decisioni raccolte nel cammino sinodale, comprese quelle riguardanti le donne e il ministero » (Publik-Forum, 29 maggio 2020).


4- Agire come una minoranza attiva

Il primo articolo della « Conférence des baptisé-e-s francophone », datato il giorno prima dell’assemblea, ha rilevato onestamente l’apparente mancanza di impatto del Cammino sinodale sulla popolazione cattolica: il questionario proposto sul sito web del Cammino sinodale aveva raccolto infatti solo 3.000 risposte. « Questa cifra è bassa » in termini assoluti, ma anche rispetto ad altre iniziative dello stesso tipo che a differenza di questa non potrebbero però rivendicare lo stesso carattere ufficiale e gli stessi mezzi messi a disposizione.
Ma questo ha poca importanza in un processo rivoluzionario. L’azione determinata intrapresa durante il Sinodo è, pensano i suoi attori, indicativa di un movimento più profondo e a lungo termine. Anche supponendo che molte delle richieste del Cammino sinodale non riescano, cioè non trovino un rilancio istituzionale, l’azione deve essere svolta, come altre (7) : « Il processo deve specificare quali riforme sono possibili e necessarie nel quadro del diritto canonico esistente sulla base dell’insegnamento della Chiesa; ma deve anche specificare, al di là di questo, che sono necessari cambiamenti profondi e come possono essere realizzati. A questo proposito, è necessario tener conto delle specificità dei processi della tradizione della Chiesa e utilizzarle per un loro ulteriore sviluppo: considerazione del fondamentale sensus Ecclesiæ, delle dinamiche di sviluppo, della pluralità, della contestualità e della prospettiva interpretativa dei processi, nonché delle modalità alternative della tradizione, che si sono temporaneamente trovate in secondo piano, ma che hanno potuto essere riscoperte. » In modo chiaro e un po’ familiare, questo alla fine darà i suoi frutti, tutto deve essere considerato possibile, anche se non per l’oggi…

5- Anticipare il sistema che verrà

Il Cammino sinodale è il rivelatore e la matrice di questo movimento di base: « Il processo di dialogo e di decisione ha bisogno di un’atmosfera di apertura mentale. Non ci devono essere tabù, non ci devono essere timori delle alternative, non ci devono essere sanzioni. » Così, lungi dall’essere un processo neutro (8), il Cammino sinodale, come un buon processo rivoluzionario, sviluppa « pratiche strutturate in relazione a un futuro sistema sociale e la cui irruzione deve essere provocata » (9). Questa è tutta la trappola dei sinodi, che Giovanni Paolo II e il cardinale Ratzinger avevano cercato di controllare dall’alto.
Questo movimento di base, cos’è? Molto esplicitamente, è l’ideale di una società democratica pluralistica. Più in generale, è quello che la Chiesa, istituzionalmente fin dal buon Papa Giovanni e dal Concilio Vaticano II, pensa di scoprire nel mondo: l’altro ieri i movimenti di decolonizzazione e di liberazione delle donne, ieri l’ideologia dei diritti umani, oggi l’ecologia. È una forza vitale manifestata dai segni dei tempi, dove crediamo di riconoscere l’opera dello Spirito. Una forma di immanentismo, infatti, che è in sintonia con la figura ecclesiale che cerca di imporsi e che, se non altro per la complicità degli attuali detentori della potestas sacra, incontra pochi ostacoli davanti a sé.

Don Jean-Marie Perrot


1. La sua origine va collocata nella lotta dei cattolici tedeschi per far riconoscere il loro posto nella società. Il primo raduno del Katholikentag ebbe luogo nell’ottobre del 1848, un’iniziativa di una rete di Piusvereine (Associazione Pio), dal nome di Papa Pio IX. Il Comitato centrale è stato formalmente istituito nel 1868. Per 100 anni ha funzionato « sostenuto dall’autorità dei vescovi », come descritto nello statuto del 1952. Nel 1967 il Comitato centrale ha acquisito autonomia ed è diventato rapidamente il paladino delle posizioni più liberali e progressiste in tutti i settori. Oggi è un attore importante e riconosciuto nella vita sociale e politica tedesca.
2. MHG: prende il nome dalle tre università di Mannheim, Heidelberg e Gieβen, da cui provengono i membri del gruppo di studio interdisciplinare sull’abuso sui minori da parte di ecclesiastici.
3. Questo documento è stato tradotto in italiano e pubblicato integralmente su Il Regno, Documenti 5/2020, pp.158-192. È questa la versione sulla quale abbiamo lavorato.
4. Papa Francesco ha giustificato le tesi delle assemblee sinodali sulla famiglia con il fatto che le aveva permesse, perché erano cum Petro e sub Petro, e quindi legittime quale che fosse il loro contenuto.
5. Nel testo del forum preparatorio sulla vita sacerdotale si trova una formulazione più moderata “Il Sinodo non è un parlamento. Ci guidi lo Spirito Santo. » Questo testo, che è più breve, è strutturato su domande e invito al dibattito piuttosto che per asserzioni, ed ha un tono generale più misurato.
6. Questo convegno è l’alter ego del Comitato centrale dei cattolici tedeschi solo nelle idee, non certo nell’organizzazione e ancor meno nel peso storico e istituzionale nella Chiesa e nella società.
7. Ecco alcuni « slanci di riforma »: il Sinodo di Würzburg (1971-1975) e il suo equivalente nella RDT, il processo di dialogo « Credere oggi » (2011-2015) e numerosi sinodi e assemblee diocesane .
8. Questa è una domanda ricorrente sulle forme moderne di democrazia.
9. Michel Maffesoli, « Le processus de récurrence dans les phénomènes révolutionnaires », in: L’homme et la société, 1977, n°43-44. In attesa della riattivazione dell’entusiasmo e della persuasione nell’allegro finale che è tipico dei sinodi di oggi: « Così, nella rivoluzione c’è una periodica e feconda riattivazione dei miti delle dinamiche sociali (forza), alla quale partecipano la celebrazione, la fondazione della violenza, il caos, l’hybris, la rottura, ecc. » (id.)