05/01/2024

L’impossibile inculturazione del messaggio evangelico nella modernità

Par l'abbé Claude Barthe

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Il discorso pronunciato da papa Francesco in occasione dell’udienza generale del 29 ottobre 2023[1] conteneva un tema di grande importanza: «Non serve dunque contrapporre all’oggi visioni alternative provenienti dal passato. Nemmeno basta ribadire semplicemente delle convinzioni religiose acquisite che, per quanto vere, diventano astratte col passare del tempo. […] “Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia” (Discorso al V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze,10 novembre 2015).»

Questo è stato, in fondo, il progetto esposto da Giovanni XIII in modo molto più prudente nel suo discorso inaugurale, Gaudet Mater Ecclesia, pronunciato in occasione dell’apertura dell’assemblea, l’11 ottobre 1962[2]: questo concilio non aveva come obiettivo quello di discutere del tale o tal altro punto di un corpus dottrinale già ben noto a tutti, bensì quello di esporlo in modo nuovo «secondo quanto è richiesto dai nostri tempi»; perché una cosa è la venerabile dottrina, un’altra è il modo di esporla.

Secondo papa Francesco, la cultura moderna – quella della modernità – è dunque considerata capace d’esser evangelizzata ed anche di divenire uno strumento per esprimere il messaggio, come lo fu il materiale filosofico greco dei primi secoli. Rivendicazione in favore di un adeguamento al mondo contemporaneo, questa, vissuta dai protagonisti dell’epoca conciliare e post-conciliare. Essi hanno invocato gli sforzi, che la Chiesa aveva sempre compiuto, per dare al messaggio evangelico nuove traduzioni linguistiche e culturali, in modo tale da esser inteso da tutti i popoli, in tutti i tempi.

Bisognerebbe intendersi sul significato della parola cultura e sapere se si possa applicare allo stesso modo ad uno stato di civiltà classica e ad un altro senza trascendenza. Senza giocare a far gli spengleriani, è consentito constatare come si sia oggi immersi nel periodo ultimo di una cultura, la cui energia si è considerevolmente affievolita, divenendo tutt’al più tecnica, ed in cui l’arte, sua espressione privilegiata, ha perso ogni trascendenza, quando non diviene addirittura uno strumento di propaganda. Il fatto è che la civiltà moderna è stata in gran parte edificata contro la Chiesa e contro il cristianesimo: non si devono confondere le civiltà precedenti la missione cristiana con una civiltà di tipo nuovo, ampiamente caratterizzata dall’apostasia. È vero però che non è possibile fare astrazione dal luogo in cui la Chiesa parla, affinché sia intesa. Ma, così come è impossibile utilizzare Marx, come volevano i fautori della prima teologia della liberazione, quale strumento di doctrina sacra, come san Tommaso aveva fatto con la filosofia di Aristotele, allo stesso modo non è più realistico credere in un battesimo della cultura contemporanea comunemente condivisa, in cui qualunque ricerca metafisica ed a fortiori qualunque affermazione, anche naturale, sull’esistenza di Dio siano divenute insignificanti.

Nei suoi testi più «aperti», il Concilio ha creduto possibile un matrimonio tra la dottrina sacra ed i temi della tolleranza in senso moderno, del rifiuto del dogmatismo e del rigetto di qualsiasi esclusivismo, rivendicato dal pensiero teologico. Tale aggiornamento dottrinale è stato ovviamente parallelo a quello, che ha preteso la riforma della liturgia e che s’è unito ad una sorprendente banalizzazione ed immanentizzazione dell’azione cultuale.

Don Claude Barthe


[1] Udienza Generale del 29 novembre 2023.

[2] Solenne apertura del Concilio ecumenico Vaticano II (11 ottobre 1962) | Giovanni XXIII.