24/09/2020

L’ipotesi Zuppi, o verso Papa Egidio

Par l'abbé Claude Barthe

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Data la situazione catastrofica della Chiesa cinquant’anni dopo il Vaticano II e l’impotenza delle cosiddette correnti conservatrici a raddrizzare il tiro, se non soltanto a contrastarle la catastrofe, almeno in alcuni settori, alcuni anticonciliari immaginano altri scenari. Non si tratta più di sognare un futuro pontificato neo-razingeriano, ma di preparare una soluzione a mezzo termine, quella di un pontificato di transizione, concepito come punto di partenza verso un cambio di rotta. Poiché lo stato della Chiesa non può che peggiorare sempre più rapidamente, essi ritengono che in un primo tempo si debba accettare una situazione che, benché non soddisfacente, consenta lo sviluppo libero della critica teorica e pratica (soprattutto liturgica) del Concilio.
Una tale prospettiva, che preferisce un pontificato “di centro-sinistra” che ci lascerebbe liberi piuttosto che uno di “centro-destra” che ci sterilizzerebbe, può sembrare particolarmente rischiosa. In ogni caso, stiamo lasciando i sentieri segnati dal pensiero « restauratore » dominante; ma, a pensarci bene, non è che questi sentieri si siano rivelati ieri delle vie senza uscita e che oggi stiano diventando delle chimere? Adesso ci soffermeremo su un esempio del tipo di prelato sul quale si costruiscono i nuovi scenari emergenti, ponendoci la domanda: e se il prossimo papa si chiamasse Egidio, Papa Egidio?

Matteo Zuppi, un “progressista”?

Si parla molto del cardinale Matteo Zuppi. Un “progressista”? Così lo classifica Edward Pentin nel suo libro “The Next Pope: The Leading Cardinal Candidates” (Sophia Institute Press, 2020), di cui parla don Pace. In realtà, è molto difficile etichettare i cardinali secondo criteri politici. In “Confessions d’un cardinal” (JC Lattès, 2007) Olivier Le Gendre riferiva queste parole del anonimo cardinale con il quale aveva conferito: “È fuorviante parlare di campi con confini definiti come quelli che si scontrano nel parlamento di una repubblica o all’interno di partiti che mantengono correnti rivali. Siamo tra i cardinali in un mondo di frontiere mutevoli.” Ci si rende infatti conto, soprattutto al tempo dei conclave, che i confini tra i gruppi sono molto fluidi. Tanto più che Matteo Maria Zuppi intende essere un uomo libero: se è favorevole all’accoglienza degli immigrati (orientamento che conferma la sua presenza alla Festa dell’Unità di Bologna a luglio insieme ai leader del Partito Democratico), è anche favorevole all’accoglienza dei fedeli tradizionali.
Pronipote del cardinale Carlo Confalonieri, che fu segretario di Pio XI e molto più tardi cardinale-vescovo di Palestrina, figlio di un dipendente vaticano, Matteo Zuppi è, come Papa Pacelli, romano di origine – un “vero Romano di Roma” come amano ricordare i suoi amici. Più o meno dispensato dal seminario (come Montini in passato), Matteo Zuppi è stato incardinato per la prima volta nella diocesi di Palestrina. Compirà 65 anni in ottobre e sembra un candidato naturale alla successione del cardinale Bassetti, arcivescovo di Perugia, come presidente della Conferenza episcopale italiana.
Matteo Zuppi è soprattutto l’uomo della Comunità di Sant’Egidio. Divenuto sacerdote della Diocesi di Roma nel 1988, è stato nominato parroco della Basilica di Santa Maria in Trastevere nel 2000, ed è diventato assistente ecclesiastico generale della Comunità di Sant’Egidio, creata nel 1973 nella vicina chiesetta di Sant’Egidio.
Questa Comunità, fondata da Andrea Riccardi, dedicata al servizio dei più poveri, si è rafforzata negli anni Ottanta, impegnandosi nel dialogo interreligioso e nell’opera per la pace, fino ad esercitare un’azione diplomatica internazionale. Tra l’altro don Zuppi, Andrea Riccardi e altre personalità della Comunità hanno svolto un efficace ruolo di mediazione nelle trattative tra il governo del Mozambico e la resistenza armata che stava conducendo una guerra civile contro il governo, mediazione che ha portato, nel 1992, alla firma a Roma degli accordi di pace tra le due parti in conflitto.
Pragmatico, Matteo Zuppi, ha continuato a partecipare a questa “diplomazia parallela” della Comunità di Sant’Egidio, accanto e al fianco della diplomazia vaticana, e anche all’organizzazione di incontri interreligiosi dopo quello di Assisi: a Lione, Bukavu, Monaco, ecc. Tanto che Matteo Zuppi appare come una sorta di co-fondatore della Comunità, divenuta la “lobby” cattolica più influente a livello internazionale. L’importanza di Sant’Egidio ha addirittura portato Andrea Riccardi a diventare Ministro della Cooperazione Internazionale nel “governo dei tecnici” euro-globalista di Mario Monti nel 2011.
La Comunità di Sant’Egidio si è conformata ai successivi governi di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Nel 2012, Mons. Zuppi è di fatto stato nominato vescovo ausiliare di Roma da Benedetto XVI. Ma, con Papa Francesco, Sant’Egidio ha dato l’impressione di aver trovato un pontefice molto affine. Dopo le dimissioni di Benedetto XVI, sembra che la Comunità abbia messo la sua influenza al servizio dell’ascesa al trono di Pietro di Jorge Bergoglio. Zuppi e Riccardi sarebbero così tra i “fautori” di Papa Bergoglio, insieme ad altri.
Il 27 ottobre 2015 Papa Francesco ha nominato Matteo Zuppi arcivescovo di Bologna, dopo le dimissioni del cardinale Carlo Caffarra, uno dei firmatari dei dubia che hanno contestato l’ortodossia di Amoris Lætitia. E, il 5 ottobre 2019, è stato creato cardinale da Papa Francesco che, per lui e per Sant’Egidio, ha creato un nuovo titolo cardinalizio, quello della Chiesa di Sant’Egidio in Trastevere. Insieme ad altri membri della Comunità, come Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa Vaticana dal 2019, è ora nelle stanze del potere.
Se è un vescovo che sa essere popolare (al momento del suo ricevimento della porpora, un treno era stato appositamente noleggiato per portare i bolognesi a Roma con lui), è ben lungi dall’essere unanime tra il popolo cattolico. Il suo libro sulla questione dei migranti: “Odierai il prossimo. Perché abbiamo dimenticato la fraternità. Riflessioni sulle paure del tempo presente” (Piemme, 2019), scritto con Lorenzo Fazzini, giornalista di Avvenire, non è stato un grande successo. Forse il capitolo più bergogliano del libro è quello intitolato “Anche nella Chiesa ci si odia”: al posto del vero fervore evangelico si trova “il falso piacere dell’autocompiacimento”, in una Chiesa “spietata, che condanna gli altri ma si assolve dal proprio comportamento”.
L’arcivescovo di Bologna ha anche curato l’edizione italiana del libro del gesuita James Martin, direttore della rivista gesuita America: “Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone LGBT” (Marcianum Press, 2018) – un libro elogiato dal cardinale Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita. Molto spiacevole, dal punto di vista antropologico e sociale, è il fatto che il libro di Martin consacri così, da un punto di vista cattolico, l’esistenza di una “comunità LGBT” all’interno della società. Ma il problema principale di questo tipo di letteratura è che non dice mai chiaramente che chi chiede i sacramenti non deve più trovarsi in una situazione peccaminosa, come quella di chi continua a vivere come una “coppia” omosessuale. Così, la prefazione, alla luce di Amoris Lætitia, propone un “accompagnamento” di persone omosessuali che vengono nella Chiesa, con “una dotta pedagogia della gradualità”.
Si nota però che l’edizione italiana, quella presieduta dal vescovo Zuppi, ha un sottotitolo sulle persone LGTB, mentre l’edizione americana parla della comunità LGBT. Inoltre, il vescovo Zuppi parla del “gruppo variegato e complesso di persone omosessuali”.

Un uomo non tutto d’un pezzo

Il cardinale Zuppi è certamente al centro di molte reti religiose e politiche. È, ad esempio, strettamente legato al bolognese Romano Prodi, cattolico dichiarato, ex presidente del Consiglio, ex presidente della Commissione europea e turiferario del nuovo ordine globale.
Un DVD, firmato da Emilio Marrese, è ora dedicato a Matteo Zuppi: “Il Vangelo secondo Matteo Z. Professione Vescovo”. La Repubblica lo promuove e chiama Zuppi “vescovo di strada” per spiegare che la sua “attività profondamente riformatrice e innovativa” segue le orme di Papa Francesco (1° dicembre 2019). In realtà, è ancora tutto da vedere.
Infatti, Matteo Zuppi ha molte ragioni per non identificarsi e per essere identificato con un puro e semplice “progressista”.
In primo luogo, perché dopo un pontificato bergogliano che anche i suoi tifosi considerano per lo più disordinato, intellettualmente debole nella qualità dell’insegnamento, destabilizzante e senza impronta carismatica all’interno del mondo cattolico, il conclave – qualunque sia la tendenza generale che sarà – porterà la sua scelta verso un “uomo nuovo”. Si sostiene che l’arcivescovo di Bologna non esita a dire che la casa ha urgente bisogno di essere restaurata.
A questo si deve aggiungere che il “progressismo” assume ogni giorno più rughe nella Chiesa. I suoi intellettuali sono vecchi. Le sue truppe si stanno sciogliendo, perché non si riproducono: i figli, i nipoti o i pronipoti di chi ha fatto il Vaticano II non vanno più in chiesa e non si sentono cattolici da molto tempo. In Europa, dal punto di vista del numero dei fedeli e dei sacerdoti (per non parlare delle finanze!), e ovunque altro dal punto di vista della più elementare ortodossia e spesso della morale tra i sacerdoti, si può parlare di bancarotta.
Quindi, se Matteo Zuppi sta già segnando la sua differenza in modo discreto e pragmatico, tutto ci porta a credere che il fenomeno si accentuerà.
E’ da considerare in particolare il suo atteggiamento su un punto molto delicato: la questione liturgica. In occasione di una visita pastorale come Vescovo Ausiliare di Roma, ha celebrato un pontificale tridentino il 30 marzo 2014, presso la Trinità dei Pellegrini, parrocchia personale dedicata alla celebrazione della Messa tradizionale a Roma e affidata alla Fraternità San Pietro. Poi, l’8 giugno dello stesso anno, per la festa di Pentecoste, fece lo stesso nella chiesa del Gesù e Maria, per l’Istituto di Cristo Re. L’8 dicembre 2014, in occasione della festa dell’Immacolata Concezione, ha presieduto una processione in strada per i fedeli tradizionali di Roma e il 26 agosto di quest’anno 2020 ha tenuto una conferenza e presieduto i vespri pontifici durante il capitolo generale di quest’ultimo istituto, che ha sede vicino a Firenze. In tutte queste occasioni sembrava un pesce nell’acqua. Quando è arrivato a Bologna, ha subito confermato le sue buone intenzioni al riguardo sul Corriere di Bologna del 28 ottobre 2015: “Se me lo chiedono, celebrerò in latino. Per i gruppi romani che mi hanno chiesto di farlo, ho ritenuto giusto fare un gesto di comunione e di vicinanza. Sono favorevole a uscire da ogni reclusione.”
Il 2020 è il 1300° anniversario della morte di Sant’Egidio, avvenuta, secondo la tradizione, nel 720, vicino al delta del Rodano. Il 1° settembre, nella festa del santo, la Comunità ha celebrato questo evento con una Messa presieduta dal Cardinale Matteo Zuppi e trasmessa ininterrottamente dai siti della Comunità. E’ venuto il tempo di Papa Egidio?
 

Don Claude Barthe