22/04/2020

I rischi futuri di una penuria di sacramenti voluta dalle stesse autorità ecclesiali

Par l'abbé Jean-Marie Perrot

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Il giorno dell’Annunciazione, l’autore di queste righe ha guardato la diretta streaming del rosario trasmesso da Lourdes. Era a letto, infettato dal virus covid-19. Nel suo caso, non era niente di più di una leggera influenza che gli rendeva difficile concentrarsi, soprattutto nella preghiera. Allora, perché non approfittare di qualche aiuto e in particolare dell’aiuto speciale che la Conferenza Episcopale aveva predisposto per quel giorno?

Alle 15:30, si è quindi ritrovato davanti al piccolo schermo del suo cellulare, in compagnia del rettore del santuario, il vescovo Ribadeau-Dumas, e di un cappellano. Senza dubbio migliaia di altri cattolici erano « collegati » contemporaneamente a lui, ma egli è rimasto particolarmente impressionato dalla solitudine che si percepiva: sia la sua, malato nel suo letto, sia quella dei due sacerdoti di Lourdes, e, tra di loro, la distanza simboleggiata in modo terribile dalle spianate desolatamente vuote del santuario – ciò nonostante le grazie sensibili ricevute durante questa preghiera.

I fedeli allontanati dai ministri del culto?

Da parroco di una città di medie dimensioni, data la situazione, ero già preparato per la telefonata che ho ricevuto il giorno dopo. Un giovane papà mi ha chiamato a proposito del battesimo della figlia appena nata. Il sacerdote previsto per il battesimo gli aveva infatti detto che non poteva spostarsi e gli aveva correttamente consigliato di procedere di persona al rito amministrato d’urgenza con la formula trinitaria in assenza di un altro sacerdote per sostituirlo. Prima che me lo raccontasse, io gli avevo proposto la stessa linea d’azione, spiegandogli del mio stato di salute e della mia conseguente temporanea indisponibilità. La sua risposta è stata questa:

« È già molto difficile vivere senza i sacramenti, senza la Messa, se, oltre a questo, dobbiamo pure fare a meno di un prete per i battesimi!… »

Probabilmente non c’è motivo di temere che in quest’uomo si sviluppi una distanza, intima o addirittura esplicita, dai ministri della Chiesa. La sua riflessione, espressione di un sensus fidei che ha ripreso vigore nella riflessione teologica sotto l’impulso di Papa Francesco (1), testimonia piuttosto il contrario.

È però sintomatica – la parola è stata scelta appositamente – di quel male ricorrente rappresentato da un certo allontanamento tra pastori e fedeli, e persino della diffidenza che ne sarebbe il frutto più amaro. Negli ultimi anni le occasioni di questa perdita di fiducia sono scaturite da scelte teologiche, morali e, più recentemente, sociali, il che non è comunque trascurabile. Nella situazione attuale, il problema non è tanto il confronto su opzioni e dibattiti, il campo è quello delle basi, e molto più doloroso quando vengono messe in discussione si: tratta dei sacramenti e dei ministri dei sacramenti – non della validità dei sacramenti (questione che può essere sorta intorno a quelli che sono stati modestamente chiamati abusi liturgici) o dell’indegnità dei ministri (argomento recente, ma indipendente dalla situazione attuale, almeno dal punto di vista umano) ma della possibilità di riceverli e, contemporaneamente, del coraggio o dello zelo profuso nel donarli.

In un libro di recente pubblicazione, La suppléance dans l’Église (Le Cerf, 2019), p. Hervé Mercury analizza le situazioni eccezionali in cui non è possibile applicare le norme abituali per il funzionamento della struttura ecclesiale. Il piano divino di salvezza si manifesta allora attraverso canali diversi da quelli da lui istituiti e affidati alla sua Chiesa, canali straordinari: ad esempio, un sacerdote sospeso o destituito dallo stato clericale può assolvere dai suoi peccati una persona in pericolo di morte. A parte questi casi, le norme ordinarie cui si fa riferimento sono vincolanti per tutti; esse proteggono la Chiesa e i suoi membri. L’autore presenta, distingue e dà priorità a quella che chiama un’ecclesiologia della regola (per la vita ordinaria) e un’ecclesiologia dell’eccezione (in questo tipo di situazioni); la seconda non è anarchia, ma conferma la prima, secondo il noto adagio: l’eccezione conferma la regola.

Tra queste situazioni straordinarie troviamo quella dell’impossibilità per i fedeli di ricorrere ai ministri dei sacramenti. Il caso dei cattolici giapponesi per diverse generazioni, come quello di questa comunità insulare alla quale il vescovo inviò in ritardo il sostituto del defunto rettore – un episodio ambientato in un romanzo di Henri Quéfellec in « Un recteur de l’île de Sein », e portato sullo schermo con il titolo « Dieu a besoin des hommes » – ne sono esempi famosi. Ma queste erano situazioni di scarsità sofferte, e non messe in atto o addirittura aggravate dalla gerarchia.

Chissà se dovremo chiedere a padre Mercury un’appendice per rendere conto della carenza sacramentale delle ultime settimane in molte diocesi del mondo? In tal caso si dovrebbe prendere in considerazione almeno una particolarità che possiamo dapprima esprimere sotto forma di una doppia domanda:

– La situazione attuale, che porta alla scomparsa dei sacramenti, rientra in questa categoria di impedimenti che la storia e la legge della Chiesa manifestano?

– E, per prolungare il presente di cui ci stiamo occupando e per fare una valutazione in prospettiva, dato che l’eccezionalità di questa situazione di epidemia e di confinamento è socialmente ed ecclesiasticamente condivisa, non c’è da temere che lo stesso processo si ripeta, magari spesso, nel nome del principio di precauzione, e secondo norme, sanitarie o sociali (2), che la Chiesa ha finora trattato in modo del tutto diverso nei secoli precedenti?

Esponiamo ora questo concetto in forma affermativa: la peculiarità dell’attuale situazione eccezionale risiede nel fatto che la scarsità dei sacramenti è decisa e organizzata dalle autorità ecclesiali. Il nostro editoriale descrive chiaramente come le conferenze episcopali hanno preceduto le decisioni del governo che si sono basate a posteriori sui pregiudizi episcopali. Una coerenza sorprendente che gradualmente soffoca le voci discordanti, e che potrebbe essere identificata con l’iniziale decisione di rimuovere l’acqua dalle fonti dell’acqua santa e di limitare l’amministrazione della Santa Comunione a quella in mano con le mani sovrapposte in forma di croce.

L’ecclesiologia dell’eccezione si basa talvolta su questo adagio: Ecclesia supplet. La Chiesa integra ciò che manca in certe circostanze perché il sacramento sia valido e fecondo: l’assenza, duratura o momentanea in una situazione di emergenza, di un ministro ordinario per il sacramento del Battesimo; la mancanza di giurisdizione per le confessioni in un sacerdote al quale ci si rivolge in buona fede, ecc. Ma quando è che la Chiesa manca? Quando la Chiesa, in disposizioni temporanee che regolano la disciplina sacramentale, sembra scaricare su Dio la sua responsabilità per la santificazione delle anime?

Una vera impossibilità di ricevere i sacramenti?

Come già scritto sopra, senza voler dare giustificazioni, ricollegandoci alla tesi di padre Mercury, anche l’eccezione più legittima non sostituisce le regole della Chiesa, e ancor meno la Chiesa stessa…

Deus supplet? Sono stati distribuiti dei testi bellissimi e alcuni video molto istruttivi sulla comunione spirituale e la contrizione perfetta. Ma è davvero stato fatto di tutto perché questa fosse solo l’ultima risorsa, il caso della reale impossibilità? Per quanto sappiamo, è stato così in molti luoghi per volontà del sacerdote. Ma altrove? In quelle parrocchie o cappelle in cui al sacerdote è stato impedito di celebrare i sacramenti dal suo parroco, dal decano o dal vescovo? Chi farà un giorno un elenco di tutti i divieti, indicazioni e suggerimenti fatti ai sacerdoti, che hanno avuto la prevedibile conseguenza di rendere più difficile la partecipazione dei fedeli alla Messa, il loro accesso alla comunione al di fuori della Messa, il loro confessarsi, ecc.?

Per quanto utili possano essere questi testi e questi video, per quanto fruttuose possano essere la comunione spirituale e la perfetta contrizione – e lo sono certamente – i pastori non devono mancare di cercare ogni occasione per sollevarne i fedeli dal doloroso peso che comportano.

In questa linea di riflessione può essere fatta un’ultima osservazione. Si sono levate alcune voci, episcopali in piccolo numero (mons. Schneider, alcuni vescovi di lingua spagnola), e di fedeli, in numero maggiore, per denunciare un abuso di potere in queste norme temporanee – che, va ricordato, si sono estese per tutta la Pasqua, privando del battesimo migliaia di catecumeni. Questa protesta non segnala forse un uso discutibile del potere sovrano dei ministri della Chiesa? Il vescovo, ricorda padre Mercury (ma non pretendiamo che egli ci segua nella nostra analisi), non è forse sovrano nel senso di Carl Schmitt, cioè colui che si definisce tale proprio in virtù dal suo potere illimitato di decretare lo stato di emergenza? Egli è, per la pienezza del sacerdozio, investito di potere sovrano, certo. Ma la sua autorità viene da Dio ed è al servizio del gregge a lui affidato.

Il carattere generale e autoritario delle recenti decisioni induce anche una certa deresponsabilizzazione dei fedeli. Non sarebbero stati capaci ancor prima dei Vescovi di giudicare, per sé e per chi si trova sotto la loro responsabilità, se astenersi o meno dai sacramenti, secondo il loro stato di salute, la loro distanza dal luogo di culto, ecc. ? Avrebbero potuto essere onorate le virtù della fede e della prudenza, del sensus fidei e del semplice buon senso. E invece i fedeli sono stati privati della possibilità di operare un giudizio di coscienza in una circostanza in cui sarebbe stato opportuno promuoverlo. Queste decisioni brusche, al tempo stesso verticali e senza possibilità di ricorso, risuonano dolorosamente per ciò che ci dicono sul potere e sul suo esercizio arbitrario perché guidato da criteri estranei o molto secondari rispetto alla missione per cui è stato istituito: la salvezza delle anime, la libertà e l’estensione della Chiesa. Quando si parla di un potenziale allontanamento tra i fedeli e i ministri, si considera anche questo. Si è spesso parlato di una tendenza alla protestantizzazione dei cattolici, che troppo spesso armeggiano, ognuno a modo proprio, con un cattolicesimo senza mediazione. Questa completa astensione pastorale durante l’epidemia non rischia di aggravare tale processo?

Padre Jean-Marie Perrot

1. Per esempio, molto recentemente: « Pensiamo, ognuno di noi, da quale parte stiamo, se siamo in mezzo, un po’ indecisi, se siamo con il sentire del popolo di Dio, del popolo fedele di Dio che non può fallire: ha quella infallibilitas in credendo [infallibilità nella fede e nella vita che scaturisce dalla fede]. E pensiamo all’élite che si stacca dal popolo di Dio, a quel clericalismo. » (Omelia a Santa Marta, 28 marzo 2020).

2. Si potrebbe quindi ritenere che una situazione di aggressione giustifichi la chiusura dei luoghi di culto, invece delle misure di sorveglianza e di protezione che la Francia ha dovuto sperimentare qualche tempo fa.