Una «pastorale generativa» deve rimpiazzare una «pastorale della conservazione»
Mons. Celestino Migliore, nunzio apostolico in Francia, ha tenuto una conferenza il 26 gennaio 2021 dinanzi al clero dell’arcidiocesi di Rennes. La prima parte è stata ripresa in un recente numero della Nouvelle Revue Théologique[1] [Nuova Rivista Teologica], ad indicare l’importanza che taluni le attribuiscono. Intitolato, dalla rivista, «Evangelizzazione e promozione umana. La conversione pastorale secondo papa Francesco», il discorso colpisce sia per la sua chiarezza, sia per la sua enfasi elogiativa nei confronti della figura e dell’opera provvidenziali del papa.
Non è ragionevole credere come prima
Mons. Migliore è come il Grande Inquisitore. Quello dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij, quello del Silenzio di Shusaku Endo (e del film di Scorsese, tratto dal romanzo, nel 2017). Quello che dichiara ai fedeli cattolici – e a Dio – che non è ragionevole, ch’è controproducente per tutti continuare a vivere ed a credere come prima. «Perché dunque è venuto a disturbarci?», ha protestato il primo di fronte a Gesù, quando questi ebbe l’arroganza di mostrarsi di nuovo e quando la folla si rivolse contro di lui con ardore. Il secondo ha insinuato nella mente del padre gesuita spagnolo, inviato in Giappone, che il gesto d’apostasia che gli si chiedeva – calpestare un’immagine di Cristo – serviva per salvare degli uomini, dei cristiani imprigionati ed, in mancanza di tale gesto, condannati a morte, ciò ch’era la via di un amore concreto ed efficace: Gesù stesso non si era sacrificato?
Mons. Migliore è meno diretto, ma più moderno: come in una serie televisiva, in cui l’intreccio si svela dopo un certo numero di episodi, lui si lancia: «si profilano alcune linee d’impegno abbastanza chiare, che ci permettono d’inaugurare una nuova stagione». Perché, dichiara, Chiesa e società sono giunte ad un punto di rottura. Ciò di cui papa Francesco è pienamente consapevole. Allora, «quale avvenire immagina papa Francesco per il cristianesimo in tale contesto?». Come uno sceneggiatore o come il grande uomo hegeliano, in cui il pensiero e la volontà rivelano lo Spirito[2].
Sinodalità! Sinodalità! Sinodalità!
Che dire? «La fede non verrà salvata», dice mons. Migliore, se non quando la Parola di Gesù Cristo nella sua forza originaria di kerigma (il contenuto essenziale della fede) fa sì che si faccia strada un cammino attraverso ed oltre le forme attuali d’incarnazione della parola biblica, della dottrina, della tradizione, di guida, divenute obsolete. Essa deve aprirsi la sua strada attraverso ed oltre una parola biblica infantilizzata o mitologicizzata – perché biblica -, una parola divina sospettata di dispotismo e d’intolleranza – perché divina -. Per farlo, questa Parola deve unirsi alla parola degli uomini in cerca della verità, verità che, dopo un millennio, ha abbandonato la Chiesa, ma non Dio: «una riflessione prodigiosa sull’uomo e sulle sue dimensioni costitutive (…) s’è sviluppata fuori dalle chiese, ma non fuori dalla Verità, poiché nessuno ha l’esclusiva di Dio». Che i Cristiani imparino dunque a camminare con gli altri uomini: questo è il programma della sinodalità caro al papa – «andare insieme», secondo l’etimologia. Cosa significa? Ebbene, secondo il nunzio, si tratta di «inserirci nella cultura contemporanea, recuperandone la creatività, la capacità interpretativa della vita dell’uomo e la forza operativa della Parola di Dio». Formula astrusa, senza dubbio presa dalla mozione di un sinodo diocesano…
Ciò che segue immediatamente non fa luce in proposito, tra nemici immaginari («intimidazione di colui che ritiene di rendere una buona testimonianza al Vangelo brandendo la verità come una spada») e formule preconfezionate («stare in uscita», «porsi con coraggio sulla scena del mondo»). Resta solo l’appello al dialogo ed all’incontro per «fare qualcosa insieme». Ma cosa? E soprattutto ci si chiederà: cosa resta della forza della parola di salvezza, della rassicurazione per la quale dottrina e tradizione non sarebbero sostanzialmente cambiate? «Si tratta giustamente di comprendere che, a fronte della crisi che sta colpendo le nostre società e che la pandemia ha amplificato in modo smisurato, la fede viene proposta come una “risorsa spirituale” che può fare la differenza, tanto sul piano individuale quanto su quello collettivo». La povertà del vocabolario fa a gara con la pacatezza dell’ammissione: il Vangelo non è niente più di una risorsa spirituale in grado di fare la differenza! Ma è solamente necessaria?
Eucarestia pericolosa
Il riferimento alla situazione sanitaria[3] prosegue con considerazioni strabilianti sul sacramento dell’Eucarestia. Nella linea del kerygma, di cui ci viene detto che occupa il primo posto, ma di cui non viene delineata bene la figura, di cui non si avverte in ogni caso il vigore della domanda, il suo appello urgente alla conversione a Gesù Cristo[4], la pandemia gioca il ruolo del kairos ovvero del tempo favorevole, della crisi che permette un rinnovarsi dell’azione di Dio (sia con un intervento diretto, sia con la conversione dei fedeli) nella storia e nella Chiesa. È effettivamente questo il caso, assicura mons. Migliore: che le chiese si siano svuotate, che si sia costretti a comunicare online e che questo non abbia dato molti frutti è il segno di una chiusura delle comunità cristiane ripiegate su sé stesse, su «una fede già esistente, piuttosto che oltre [verso] una fede ancora in gestazione». Una delle cause di ciò è che la messa ha acquisito un’importanza smisurata, essendo la sola modalità per i cattolici di riunirsi e di essere presenti nella società. «A tal punto che, quando l’urgenza della pandemia ne ha reso di fatto impossibile la celebrazione nella sua modalità pubblica, tutto l’edificio è caduto e sembrava che nulla fosse rimasto in piedi».
E che dire, prosegue il nostro relatore, della soluzione trovata, le messe online? Non si è così caduti, contrariamente al movimento liturgico e del concilio Vaticano II, in una valorizzazione dell’azione solitaria rituale del celebrante, di un automatismo sospetto? Fortunatamente, ci si rassicura, il papa non ha mancato di ricordare con insistenza che ciò che importa fondamentalmente, non è il rito, ma la vita che scaturisce dalla celebrazione. «”Il giusto modo per rendere culto a Dio”, per riprendere l’espressione di Paolo (Rom 12,1), è quello che assume la forma concreta del corpo dato nei gesti di attenzione, di tenerezza, di solidarietà, di misericordia, di riconciliazione».
Al lettore appena ripresosi dallo stupore, il seguito insegna che la pandemia ha rivelato come regni ancora una «pastorale della conservazione». Questa non è più sufficiente. D’altronde non è mai stata sufficiente, se si segue il nunzio nella sua esposizione, poiché la riforma costante della Chiesa – Ecclesia semper reformanda – s’intende di una «pastorale generativa, espressione di una Chiesa cosciente di non essere già interamente costituita, ma di essere sempre in via di costituzione».
Costituzione: la parola merita d’esser soppesata… Quando il lettore ha paura di capire, prosegue nella sua lettura, torna indietro, spiando le parole, le espressioni rassicuranti o inquietanti. Queste sono chiaramente del secondo tipo: i cristiani devono accettarsi «in una situazione di diaspora», la Chiesa deve riconoscersi «decentrata nella storia», «immersa in un cambiamento continuo». E, se si coglie bene il pensiero teologico soggiacente, queste caratteristiche non sono quelle delle circostanze presenti, però costituiscono la Chiesa, la cui caratteristica propria, in definitiva, è quella di «stare in uscita», in uno «svuotamento di sé»[5].
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Che si perdoni l’autore di queste righe, ma è più di quanto si possa sopportare. Che bassa prospettiva![6] Non sarà sufficiente rinviare all’inizio della conferenza ed alle implacabili analisi che la sociologia religiosa, l’evoluzione della cultura, della morale e della legislazione permettono di formulare sulla situazione problematica della Chiesa nel mondo moderno; ciò non cambierà il nostro grido: che prospettiva meschina! Che mancanza di sguardo soprannaturale! A meno che non ve ne sia uno, il che sarebbe ancor più inquietante, anche se ben poco sorprendente: siamo infatti tornati al vecchio tema della Chiesa costantiniana e tridentina da ricacciare. Ma qui le cose sono dette con franchezza. Il solo esempio dato, che non è «in nulla accademico o marginale» – su questo siamo d’accordo -, quello della messa, colloca il pensiero in una luce estremamente realistica.
Di fronte ad un discorso come questo, noi ci opponiamo e con noi i bambini del catechismo che, quest’anno, hanno capito molto bene, in virtù dell’esperienza personale, cosa significhi veder ridotto l’accesso ai sacramenti, cosa “causi” il non poter andar a messa o dover entrare in chiesa dalla porta posteriore… quale indebolimento, prima di tutto, del buon senso, quale sviamento, soprattutto, del senso della fede possono lasciar intendere che ciò che la pandemia ha rivelato della messa sia la compassione del personale medico e paramedico – per quanto ammirevole essa sia – e non l’insopportabile privazione dei sacramenti, tanto più percepita in quanto consumatasi senza proteste da parte dei pastori. Qui si varca la soglia dell’indecenza, la crisi sanitaria viene strumentalizzata per procedere ulteriormente verso la scomparsa della Chiesa.
Don Jean-Marie Perrot
[1] N° 143/2, aprile-giugno 2021. Testo ad accesso libero sul sito della rivista.
[2] «Lo Spirito in cammino verso una nuova forma è l’anima interna di tutti gli individui; è la loro interiorità incosciente, che i grandi uomini porteranno a coscienza» (Friedrich Hegel, La Ragione nella storia).
[3] Non si fa mai distinzione tra questa situazione e le restrizioni di qualsiasi tipo imposte dai governi. La legittimità di queste ultime riguardo la libertà di culto e la libertà della Chiesa non viene minimamente messa in discussione.
[4] Per certi aspetti, ci «si contenterebbe», rispetto a quel che viene promosso, di una forma d’evangelismo cattolico vigoroso.
[5] «La riforma, per Francesco, si radica in uno svuotamento di sé» (Antonio Spadaro, «La riforma della Chiesa secondo Francesco. Le radici ignaziane» in Antonio Spadaro, Carlos Maria Galli (ed.), La riforma e le riforme nella Chiesa, Queriniana, Brescia, 2016, p. 22).
[6] Il resto della conferenza, almeno quanto ne è stato riportato, non eleverà il lettore, a meno che non pensi che il cambiamento del codice di diritto canonico per includere il diritto di voto dei laici nei processi sinodali a cui intervengono, sia una tra le questioni più importanti per la Chiesa. È quanto meno un segno del fatto che si stanno aprendo le orecchie alle richieste del sinodo tedesco…