01/05/2020

Uno spirito rinunciatario

Par l'abbé Claude Barthe

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Dopo la crisi sanitaria si sente sempre ripetere nella che nella Chiesa nulla sarà come prima. A nostro parere, sarà addirittura peggio. L’atteggiamento degli ecclesiastici che, per mesi interi, non hanno saputo preservare il culto e i sacramenti, non potrà produrre che frutti amari. Non è che un ulteriore illustrazione del modo di essere in auge da mezzo secolo: l’apertura al mondo del Vaticano II si traduce in compromessi e mezze misure che sanno di sottomissione allo spirito del mondo.

L’Abbé Perrot in questo numero di Res Novae tratta del significato della rinuncia da parte del Papa vigente al titolo di Vicario di Cristo e della genesi di questo processo iniziata ai tempi di Paolo VI. Al vertice della Chiesa sembra quindi di assistere allo sviluppo di una specie di parabola che si potrebbe intitolare “La successione di Pietro, un retaggio troppo pesante” e che mette in gioco due figure di pontefice: una che ha rinunciato ad una carica giudicata troppo pesante per sé, ma che comunque non risparmia interventi come è stato in occasione del dibattito sul celibato sacerdotale; e l’altra che, rifiutandosi di succedere a ciò che ritiene antiquato nell’incarico pontificio, abbandona il titolo di Vicario di Cristo.

Questo abbandonare le proprie responsabilità d’altronde è “collegiale”: tocca ai vescovi come ai papi. Scrivevamo nell’editoriale del nostro numero 12, nell’ottobre 2019, che la Chiesa necessita, più che mai, di pastori di grande statura e grande forza, pii, e consapevoli dei loro immensi doveri. Purtroppo, laddove aspettiamo i Successori degli Apostoli non incontriamo che uomini del consenso, prigionieri del pensiero maggioritario delle loro pecore, e permeabili quanto loro alle pretese del mondo. E’ come se il munus docendi– il distinguere il bene dal male ed insegnarlo – non fosse più compito loro.

Eppure si tratta della loro unica responsabilità: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mat 28, 19-20). Non dobbiamo dubitare né dell’efficacia di quell’ordine né del fatto che i vescovi ricevano ancora le grazie necessarie per seguirlo. A Geremia che protesta della sua incapacità a profetizzare, Dio risponde: “Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca. Vedi, io ti stabilisco oggi sulle nazioni e sopra i regni, per sradicare, per demolire, per abbattere, per distruggere, per costruire e per piantare” (Ger 1, 9-10).

Don Claude Barthe