26/02/2020

Uno studio accademico sulla deposizione di un papa eretico

Par Don Pio Pace

Français, English

Gli atti di un convegno svolto nel 2017a Sceaux, presso l’Université Paris Sud, sono stati pubblicati in un volume unico a cura del professor Cyrille Dounot, di Nicolas Warembourg e Boris Bernabé: La déposition du pape hérétique. Lieux théologiques, modèles canoniques, enjeux constitutionnels (Mare & Martin/Presses universitaires de Sceaux, 2019 – La deposizione di un papa eretico. Luoghi teologici, modelli canonici, questioni costituzionali-). Questo convegno è succeduto alla pubblicazione della tesi di Laurent Fonbaustier, La déposition du pape hérétique. Une origine du constitutionnalisme ? (1). Il notevole successo di questo convegno si è senza dubbio dovuto alla sua corrispondenza temporale con l’attualità della Chiesa, segnata dalla sorprendente opera pontificia, per usare un eufemismo, di papa Francesco.

Il tema principale del convegno riguardava gli sviluppi sulla materia dei Decretali (i commentari della somma giuridica costituita dal Decretum Gratiani, dell’XI secolo), e di quanto avvenne attorno al Concilio di Costanza che nel XV secolo pose fine allo scisma d’Occidente, procedendo con la deposizione di un papa per l’ultima volta nella storia della Chiesa.

Una parte del convegno è stata riservata al periodo contemporaneo. Ci soffermeremo sul contributo di Cyrille Dounot, professore di storia del diritto all’Università di Clermont Auvergne, che ha affrontato il rinnovato interesse per la questione nel suo intervento dal titolo: « Paul VI hérétique ? La déposition du pope dans le discours traditionaliste » (pp. 131-165).

Per quanto riguarda gli studi più attuali in materia, Dounot cita, tra gli altri, la rivista Le Sel de la Terre, che ha pubblicato le pagine di Jean de Saint-Thomas su La déposition du Pope (2), la traduzione di padre Jean-Michel Gleize della FSSPX di Le pape et le conseil di Cajetan (3), e l’opera di Roberto de Mattei, Il Vicario di Cristo. Il Papato può essere riformato? (4), contenente un capitolo dal titolo: « Può un papa essere eretico? « e il libro di Maxence Hecquard, Les papes de Vatican II sont-ils légitimes ? (5). Cita anche gli americani e avrebbe potuto evocare gli italiani, come Antonio Socci (Non è Francesco, Mondadori, 2014) o Nicola Bux, professore all’Istituto di Teologia Ecumenica-Patristica di Bari, in vari interventi (intervista sul blog di Antonio Maria Valli del 13 ottobre 2018, « L’unità si fa nella verità »).

Questi argomenti hanno avuto la loro  genesi sotto il pontificato di Paolo VI, mentre la situazione di novità in cui questo pontificato ha portato la Chiesa è arrivata come uno shock per la coscienza di una parte di cattolici « tradizionalisti » in Francia e nel mondo. 

Il tema del papa eretico (Esistevano papi eretici? Come ha affrontato il problema la Chiesa?) ha trovato un suo spazio, soprattutto dopo la pubblicazione del nuovo messale nel 1969, tra autori come padre Coache (bollettino Le Combat de la foi), padre Noël Barbara (Forts dans la Foi), padre Michel-Louis Guérard des Lauriers che Cyrille Dounot evoca, ma ai cui scritti (Les Cahiers de Cassiciacum) sembra non aver avuto accesso, Padre Georges de Nantes (La Controriforma cattolica), il cui pensiero su questo punto è particolarmente articolato, Jean Madiran (Itinerari), il brasiliano Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira, che esamina l’ipotesi di un papa eretico in Considerazioni sull’Ordo Missae di Paolo VI (6), l’argentino Carlo Disandro (rivista La Hosteria Volante), il sacerdote messicano Joaquín Sáenz Y Arriaga, in La Nueva Iglesia Montiniana.

Le due principali tesi storiche discusse da questi autori sono state Papa eretico depositus est di Cajetan (deposizione di una papa eretico) e Papa eretico deponendum est di Bellarmin (il papa eretico deve essere deposto). Roberto de Mattei, nella sua prefazione all’edizione di Ipotesi Teologica di un Papa eretico (che fa parte del già citato libro di Arnaldo da Silveira, Solfanelli, 2016) sviluppa l’idea che queste tesi siano concretamente collegate: la constatazione della perdita del pontificato da parte dei prelati della Chiesa è infatti pari al pronunciamento della deposizione da parte di questi stessi prelati. Cyrille Dounot, inoltre, non cerca di distinguere tra coloro che hanno solo studiato la tesi della deposizione e coloro che hanno considerato che sia effettivamente avvenuta (i cosiddetti « sedivacantisti »). A nostro avviso, è giusto che C. Dounot non faccia questa distinzione che storicamente va ricondotta soprattutto al pontificato di Giovanni Paolo II.

Cyrille Dounot conclude con la constatazione di due fallimenti. Un fallimento teorico: nulla era previsto nei testi antichi circa la modalità possibile dper la deposizione di un papa eretico, che storicamente si risolveva nei fatti con concili, interventi laici, condanne post mortem; allo stesso modo, gli autori post-Vaticano II, teologi, canonisti o scrittori, non elaboravano « istruzioni per l’uso » della deposizione. In particolare, si è trattato di un fallimento umano e politico: infatti non ha avuto successo alcun appello al clero romano, ai « vescovi cattolici », ai cardinali. La via ricercata dall’abate di Nantes sembra a Cyrille Dounot molto significativa per quanto riguarda il fallimento annunciato: il dogma del primo Concilio Vaticano II avendo consolidato notevolmente l’adagio secondo cui la Sede di Pietro non poteva essere giudicata da nessuno, la « soluzione moderna », come la chiamava Georges de Nantes, non poteva che essere una auto-condanna del papa eretico da parte del papa infallibile. 

Ci si può chiedere come un papa lapsus abbia ancora il potere di dichiararsi tale. A parte dire che in realtà è proprio la dimissione del Papa che si vuole provocare (dimissione alla quale il Concilio di Costanza aveva obbligato il Papa di Roma). Forse è a questo che si riducono tutti gli esempi storici di papi deposti (tra cui Benedetto XIII, Pedro de Luna, che si rifiutò ostinatamente di farlo, al tempo del Grande Scisma d’Occidente: la Chiesa li costrinse ad abbandonare il loro potere reale facendo leva sulla loro decadenza, su cui si stabilì un consensus. Questo consensus Ecclesiæ romanæ, che alla fine ha determinato le elezioni pontificie, e che in un certo senso ha in qualche modo cancellato le tante stranezze che si possono rilevare nella storia per un certo numero di esse, è sicuramente la spiegazione ultima relativamente alle deposizioni che « hanno funzionato » fino al XV secolo: la Chiesa ha dovuto semplicemente constatare la decadenza di questo o quel pontefice.

Ma è proprio nel cercare di provocare questo consensus che gli autori evocati da Cyrille Dounot – chiamiamoli per comodità e per rimanere in quell’ambito di studi i deposizionisti – hanno fallito. Essi hanno tuttavia aperto una breccia su un punto che è tutt’altro che secondario: la liturgia. C. Dounot spiega che i dibattiti a cui fa riferimento sono stati essenzialmente sollevati dall’avvento della nuova liturgia, che questi autori hanno ritenuto inammissibile. La mancata ricezione del messale di Paolo VI da parte dell’abate di Nantes, Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira, Jean Madiran, seguito da molti altri, ha portato alla sopravvivenza del precedente messale, che le autorità romane hanno finito per legittimare nel 1984 con Quattuor abhinc annos, nel 1988 con Ecclesia Dei, e soprattutto nel 2007 con Summorum Pontificum. Di conseguenza, la liturgia, la lex orandi, di prima del Concilio e di prima di Paolo VI, non solo esiste ancora, ma è stata riconosciuta dagli eredi di Paolo VI come legittima accanto a quella che doveva sostituirla. Il rifiuto della nuova liturgia coesiste dunque con la nuova liturgia, così come il rifiuto del Concilio coesiste con il Concilio, come una sorta di « deposizionismo » à la carte.

1. Pargi, Mare & Martin, 2016.

2. N° 90, 2014, pp. 112-134.

3. Edizioni Courrier de Rome, 2014.

4. Le Drapeau blanc, Fleurance, 2016.

5. Pierre-Guillaume de Roux, 2019.

6. Traduzione italiana in edizione limitata (1970).