20/11/2020

Alle radici della crisi catechistica :
un magistero incerto

Par l'abbé Claude Barthe

Français, English

Nel nostro ultimo numero abbiamo detto che il proliferare delle catechesi eterodosse o incoerenti era dovuto al fatto che l’autorità non avesse mai assunto i mezzi necessari per contrastare tale fenomeno. C’è qualcosa di più grave: così come gli organi magisteriali hanno, per così dire, perso colpi rispetto a certi impegni conciliari, allo stesso modo in materia catechetica, l’autorità ecclesiale è parsa dubitare del messaggio da trasmettere. Prenderemo come esempio il carattere propiziatorio della messa e quanto ne dice il Catechismo della Chiesa cattolica.

La propiziazione assente dalla definizione della messa nella prima edizione del CCC

La messa è un sacrificio, che reitera il sacrificio della Croce, offerto in riparazione dei peccati. Come è noto, nella nuova liturgia si è spiacevolmente riflessa l’eliminazione di tale affermazione: tra le edulcorazioni che si possono rimproverarle, questa è certamente la più impressionante. Edulcorazione ed anche oblio presenti nella prima edizione del Catechismo della Chiesa cattolica del 1992[i], sono stati poi rettificati nella seconda edizione del 1997[ii].

Per ben comprenderla, occorre tornare ad una delle definizioni più celebri del Concilio di Trento, al capitolo II del decreto sul sacrificio della messa, 22ma sessione conciliare (Dz 1743): «Poiché in questo divino sacrificio che si compie nella messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che si immolò una sola volta cruentamente sull’altare della Croce, il santo concilio insegna che questo sacrificio è veramente propiziatorio e che per mezzo di esso, se di vero cuore e con retta fede, con timore e riverenza ci avviciniamo a Dio, contriti e pentiti, noi otteniamo misericordia e troviamo grazia in un aiuto propizio (Eb 4, 16). Placato, infatti, da questo sacrificio, il Signore, concedendo la grazia e il dono della penitenza, perdona i peccati e le colpe anche gravi. Si tratta, infatti, della stessa, identica vittima, la stessa che, offrendosi ora per mezzo del ministero dei sacerdoti, un giorno si è offerta sulla Croce, essendo diverso solo il modo di offrirsi. I frutti di quell’oblazione – quella cruenta – vengono percepiti abbondantemente per mezzo di questa, incruenta; tanto si è lontani dal pericolo che con questa si deroghi a quella. È per questo motivo che, conformemente alla tradizione degli apostoli, essa viene giustamente offerta non solo per i peccati, le pene, le soddisfazioni ed altre necessità dei fedeli viventi, ma anche per quelli che sono morti in Cristo, non ancora del tutto purificati».

Nella sua prima edizione, quella del 1992, il CCC diceva al n. 1367: «Il sacrificio di Cristo ed il sacrificio dell’Eucarestia sono un unico sacrificio: “È una sola e medesima vittima, colui che si offre ora attraverso il ministero dei sacerdoti è lo stesso che s’è offerto un tempo sulla Croce. Solo il modo di offrirsi è differente”. “In questo divino sacrificio, che si compie nella messa, lo stesso Cristo che s’è offerto un tempo in modo cruento sull’altare della Croce è contenuto e immolato in modo non cruento”». Si è fatto riferimento alla definizione del Concilio di Trento, ma la citazione ha sezionato la frase citata, togliendole il proprio carattere conclusivo («Poiché,…»), e soprattutto ha omesso l’affermazione finale: «… questo sacrificio è veramente propiziatorio».

La rettifica della seconda edizione del CCC

Altri punti, come questo, generalmente di minore importanza, hanno agitato i teologi, che hanno trasmesso le proprie critiche alla Congregazione per la Dottrina della Fede, la quale ne ha tenuto poi conto per la redazione di una seconda edizione.

Il n. 1367 dell’edizione del 1997 (1998 per l’edizione francese) è formulato come segue: «Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucaristia sono un unico sacrificio. “È infatti una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì sé stesso sulla croce, diverso è solo il modo di offrirsi”. “E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che “si offrì una sola volta in modo cruento” sull’altare della Croce, questo sacrificio è veramente propiziatorio”». Riferimento alla definizione del Concilio di Trento (Dz 1743), questa volta perfettamente giustificato, in quanto il CCC ne cita la sostanza.

Certamente, altri catechismi posteriori al Concilio di Trento sono nettamente più espliciti del CCC. Così il Catechismo del Concilio di Trento: «Stanti così le cose, bisogna senza alcuna esitazione insegnare col santo Concilio che l’augusto Sacrificio della Messa non è solamente un Sacrificio di lode e di azione di grazie, né un semplice memoriale di colui che è stato immolato sulla Croce, ma è ancora un vero Sacrificio di propiziazione, per placare Dio e renderlo benevolo nei nostri confronti. Se dunque noi immoliamo e se offriamo questa santissima vittima con un cuore puro, una Fede viva ed una profonda contrizione per i nostri peccati, otterremo immancabilmente misericordia dal Signore e l’aiuto della sua Grazia per tutte le nostre necessità. Il profumo, che emana da questo Sacrificio, gli è così gradito che ci accorda i doni della grazia e del pentimento e perdona le nostre colpe. Perciò la Chiesa afferma in una delle sue solenni Orazioni: «Ogni volta che rinnoviamo la celebrazione di questo sacrificio, noi compiamo l’opera della nostra salvezza» [Secreto della IX domenica dopo la Pentecoste]. Perché tutti i meriti così abbondanti della Vittima cruenta si spandono su di noi attraverso questo Sacrificio incruento»[iii].

Lo stesso nel Catechismo di San Pio X: «Per quale fine si offre il sacrificio della messa? Si offre a Dio il sacrificio della santa Messa per quattro fini: […] 3° Per placarlo, dargli la dovuta riparazione dei nostri peccati, alleviare la fatica alle anime del purgatorio ed, in quest’ottica, il sacrificio è propiziatorio»[iv].

Forse non sarebbe stato inutile che il CCC facesse riferimento all’ultima chiarificazione magisteriale intervenuta circa l’essenza del sacrificio eucaristico, «vero sacrificio in senso proprio», nell’enciclica Mediator Dei di Pio XII, nel 1947: «Il sacrificio dell’altare non è una pura e semplice commemorazione delle sofferenze e della morte di Gesù Cristo, ma un autentico sacrificio, in senso proprio, sacrificio in cui attraverso un’immolazione incruenta, il Sommo Sacerdote fa ciò che ha già fatto sulla Croce, offrendosi lui stesso al Padreterno come un’ostia graditissima. […] In effetti attraverso la “transustanziazione” del pane in Corpo e del vino in Sangue di Cristo, il suo Corpo così come il suo Sangue sono realmente presenti e le specie eucaristiche sotto le quali egli è presente rappresentano la separazione del Corpo e del Sangue. Per questo motivo la presentazione nel memoriale della sua morte, realmente avvenuta sul Calvario, si rinnova nei vari sacrifici dell’altare, quando attraverso segni chiari Cristo Gesù viene significato e mostrato nella condizione di vittima»[v].

Dottrina catechistica ordinaria, dottrina catechistica extraordinaria

Così, dopo quasi vent’anni di vacatio dell’insegnamento catechistico romano all’indomani del concilio Vaticano II, si è voluto, nel 1992, riempire tale vuoto con la prima edizione del Catechismo della Chiesa cattolica, ma senza che si potesse veramente dare a tale opera lo status plenario e l’autorità dei testi precedenti, in quanto cinque anni dopo l’edizione del 1997 (1998 in francese), ha, tra l’altro, molto opportunamente corretto l’omissione, di cui noi qui trattiamo.

Si pensi alla simile avventura, se così si può dire, vissuta dalla definizione della messa nell’Institutio generalis, la Presentazione generale, del messale di Paolo VI del 3 aprile 1969:

  • Il n. 7, secondo capitolo (De generalis structurae missae) dell’Institutio, dichiarava nella versione presentata alla Sala Stampa vaticana il 2 maggio 1969: «La Cena del Signore, chiamata anche la Messa, è la santa assemblea o adunanza del popolo di Dio, che si riunisce sotto la presidenza del sacerdote per celebrare il memoriale del Signore. Per questo motivo, a tale adunanza locale della Chiesa si applica eminentemente la promessa di Cristo: “Quando due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20)».
  • Dopo la modifica, il n. 7, secondo capitolo, è apparso nell’edizione tipica del 26 marzo 1970 (divenuto n. 27 nell’edizione tipica del 2002) in questi termini (le modifiche sono di seguito in corsivo): «Alla messa o Cena del Signore, il popolo di Dio viene convocato e riunito, sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore o sacrificio eucaristico. Per questo motivo quest’adunanza locale della santa Chiesa realizza in modo eminente la promessa di Cristo: “Quando due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). In effetti, nella celebrazione della messa, ove viene perpetuato il sacrificio della croce, Cristo è realmente presente nell’assemblea stessa riunita nel suo nome, nella persona del ministro, nella sua Parola ed anche, ma in modo sostanziale e permanente, sotto le specie eucaristiche».

Nel caso del CCC o in quello dell’Institutio generalis, non si può che rallegrarsi di tali correzioni dottrinali, pur rilevando come queste incertezze tolgano qualsiasi pretesa del magistero nei confronti di tali definizioni. Perché è stata effettuata anche, in un senso liberale stavolta, una modifica dell’articolo concernente la pena di morte[vi].

È tuttavia evidente come i catechismi precedentemente editi dall’autorità romana, ed a fortiori il Concilio di Trento stesso, restino sempre pienamente validi. Si può dunque dire che, come la «forma extraordinaria»[vii] del rito romano coesiste con la «forma ordinaria», le rigorose definizioni del Catechismo del Concilio di Trento, mai abolito, coesistano con i nuovi enunciati catechetici, più esitanti. C’è, se si vuole, una «dottrina catechetica extraordinaria», mai abolita, ed una «dottrina catechetica ordinaria» soggetta a variazioni, talvolta nel senso di un rigore ritrovato e talvolta, al contrario, nel senso di un ampliamento liberale.

Don Claude Barthe

[i] Edizione francese, Plon/Mame/Libreria Editrice Vaticana, traduzione sul testo tipico latino, Libreria Editrice Vaticana, 1992.

[ii] Edizione francese, Centurion/Cerf/Fleurus-Mame/Libreria Editrice Vaticana, 1998, traduzione sul testo tipico latino, Libreria Editrice Vaticana, 1997. Le nostre riflessioni si basano su una lunga nota di don Grégoire Célier nella Lettera ai nostri fratelli preti del giugno 2010, «Ritorno sulla propiziazione», pag. 3-4.

[iii] Capitolo 20, §8.

[iv] Capitolo 5, § 1.

[v] Dz 3848.

[vi] Il n. 2266 la riteneva legittima «in casi di estrema gravità». Il nuovo n. 2267 indica: «la Chiesa insegna alla luce del Vangelo che la pena di morte è inammissibile».

[vii] Denominazione che il motu proprio Summorum Pontificum dà alla liturgia tridentina.