Bugninizzare le basiliche romane
È un dato di fatto vecchio tanto quanto la liturgia celebrata a Roma: essa è servita, in tutte le epoche, quale modello da imitare in tutto il cattolicesimo latino. Ora, la basilica di San Pietro a Roma è stata teatro di alcuni incidenti liturgici all’apparenza minori, eppure carichi comunque di significato. Vetrina privilegiata, essa è oggetto di ogni attenzione da parte di papa Francesco. Nel nominare Arciprete di San Pietro, il 20 febbraio scorso, il cardinal Mauro Gambetti, un francescano di 55 anni, gli ha dato come tabella di marcia quella di procedere ad una bugninizzazione della liturgia della basilica, operazione che rientra in un piano più generale consistente nel ridare vigore, a partire da Roma, alla riforma di Paolo VI.
Come San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore, l’arcibasilica di San Pietro è dotata di un capitolo di canonici, considerati come prelati del rango più elevato (essi hanno il rango di protonotari). Per nulla integralisti, sono tuttavia classici e mantengono in questo luogo eminente della cristianità una dignità tutta romana… che esaspera il pontefice attualmente regnante. Scorgendo un giorno due di loro svolgere il proprio servizio presso i cardinali nel loro abito da coro viola, ha esclamato: «Chi sono questi duo preti vestiti in technicolor?».
Lo scorso 12 marzo, come noto, una decisione della Segreteria di Stato ha eliminato dalla basilica la celebrazione delle messe individuali in forma ordinaria a favore delle concelebrazioni (misura rivolta soprattutto ai membri della Curia, che avevano conservato la spiacevole ed arcaica abitudine di celebrare messe individuali agli altari della basilica prima di recarsi nei propri uffici).
Poi è giunto il divieto per i canonici di celebrare l’Ufficio divino (la Liturgia delle Ore), come facevano, nella Cappella dell’Immacolata o Cappella del Coro presso la Sagrestia, fino a quando non vengano dati loro nuovi statuti. Ora, il compito dei canonici di una cattedrale, di una basilica o di una collegiata consiste in primo luogo e prima di tutto nella recita dell’Ufficio divino, preghiera ufficiale della Chiesa, preghiera della Sposa al suo Sposo, cui essi sono in modo particolare delegati. Se in Italia è rimasto qualche capitolo, che celebra ancora l’Ufficio, ciò è praticamente scomparso dalla maggior parte delle cattedrali europee, non potendo consacrare preti per tale funzione. L’interruzione dell’Ufficio divino a San Pietro rappresenta un’autentica eresia liturgica, che deve aver fatto rivoltare nella tomba Crodegango, vescovo di Metz nell’VIII secolo, autore di una regola canonica fondante.
E poi il primo maggio, quando è iniziato il mese di Maria, con le sue recite del rosario in tutte le chiese di Roma, è stato espressamente vietato ai venerabili canonici di unirsi al papa, che si recava a recitare il rosario alla Cappella Gregoriana, nella basilica vaticana, davanti all’immagine di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso. Ufficio e devozione vietati ai canonici!
Un motu proprio dovrebbe sopraggiungere per rifondare lo statuto dei capitoli di tre arcibasiliche romane. Prima di tutto il fine di quest’operazione è quello di rendere più «vive» e «partecipi» le liturgie basilicali. E poi, prima o al momento della pubblicazione della costituzione apostolica Prædicate Evangelium, che riformerà la Curia, un ruolo trainante nel modo di celebrare a Roma verrà dato alla Congregazione per il Culto divino, che dovrà assorbire l’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche pontificie. Da qui le voci, secondo cui l’ultra-bugniniano mons. Viola assumerebbe la direzione della Congregazione, assistito da mons. Guido Marini, Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, quale Segretario della Congregazione.
Una nuova ondata di scipitezza e di banalizzazione sta per diffondersi presso la liturgia romana. È pur vero però che, per il livello cui questa è caduta, non v’è più da temere il peggio.
Pio Pace