I preti di domani
Non v’è bisogno di dimostrare come il risveglio della Chiesa e quello del sacerdozio vadano di pari passo. La situazione attuale potrebbe risultare scoraggiante, ma paradossalmente essa è anche provvidenziale: è la dimostrazione del fallimento di una falsa riforma nella Chiesa, per evocare il titolo di Padre Congar, e pone in evidenza gli elementi di ciò che potrebbe viceversa essere una riforma autentica.
L’albero e i frutti
Richiameremo qui il caso della Francia, senza dubbio il più documentato dal punto di vista delle vocazioni sacerdotali dopo il Concilio e, ad ogni modo, quello da noi meglio conosciuto.
Dalla fine del Concilio, nel 1965, s’era instaurato nella Chiesa un clima, che preannunciava il Maggio ’68. Le eresie si diffondevano senza più essere combattute, mentre tutte le istituzioni ecclesiali erano scosse. Oggi è difficile immaginarsi l’immenso sconvolgimento provocato dall’aggiornamento degli istituti religiosi in funzione del decreto conciliare Perfectae caritatis: tra il 1965 ed il 1970 vennero modificate le costituzioni ed una notevole secolarizzazione aveva trasformato molti aspetti dell’esistenza di religiosi e religiose (abbandono dell’abito, periodi di silenzio, ingresso della televisione nei conventi, vita dei religiosi e delle religiose negli appartamenti, ecc.). Si è all’epoca assistito alla scomparsa, per carenza di vocazioni, delle società di vita apostolica delle religiose – fatto storico poco sottolineato -, che rappresentavano un elemento importante del tessuto parrocchiale dopo il XIX secolo.
Allo stesso tempo si assistette alla diluizione del clero nel mondo secolare circostante, il cui segno più evidente per la gente fu il repentino abbandono della talare. Sullo scompiglio provocato dalla riforma liturgica fin dai suoi esordi nel 1964, non è necessario tornare, non più che sull’emorragia di fedeli provocata dalla destabilizzazione generale.
È in questo contesto ch’è iniziata una caduta vertiginosa delle ordinazioni sacerdotali. Certo, altre flessioni importanti si erano registrate in passato: quella conseguente alla Separazione della Chiesa dallo Stato tra il 1905 ed il 1914; anche quella ch’è iniziata nel 1947, dopo i fastosi anni della «ripresa» nel dopoguerra, declino che tuttavia non impedì un rinnovamento tale per cui la piramide del clero nel 1965 risultava eccezionalmente giovane[i].
A partire dal 1965, il numero dei preti diocesani s’è ridotto in proporzioni considerevoli, a causa del crollo nelle ordinazioni ed anche a causa di un movimento di «partenze», che da allora non è mai più cessato, benché in numeri assoluti tale fenomeno sia inferiore al netto assottigliarsi del numero dei preti. Uno studio realizzato dalla Fraternità San Pio X, intitolato «Classificazione delle diocesi in Francia», compara il numero dei sacerdoti incardinati nelle diocesi francesi nel 1964 e nel 2020. Vi si vede come Parigi sia passata da 1.854 a 638 preti; Lione da 1.561 a 290; Verdun da 298 a 47; e così via[ii]. Una sola diocesi metropolitana, inizialmente povera di sacerdoti, ne è oggi più ricca di quanto non fosse nel 1964, quella di Fréjus-Tolone, che ha accolto numerose comunità classiche e tradizionali (190 preti nel 1964, 202 nel 2020).
Effettivamente, è come se a partire dal 1965, il crollo delle ordinazioni fosse divenuto irrimediabile: 646 preti diocesani erano stati ordinati nel 1965 in tutta la Francia, 566 nel 1966, 461 nel 1968, 170 nel 1975, transitando sotto la barra dei 100 nel 2004 (90 ordinazioni).
Ora, in questo contesto è cambiato molto il profilo dei nuovi ordinati, e ciò è stato percettibile dopo gli Anni Novanta.
I nuovi sacerdoti
Rimedii da quattro soldi o realismo: le cifre ufficiali, fornite ogni anno dalla Conferenza episcopale francese, comprendono da molti anni le ordinazioni di preti delle comunità, che andranno ad esercitare un ministero diocesano, come la Comunità di San Martino, ed anche quelli di alcune comunità tradizionali. Questo apporto, che giunge da comunità estremamente classiche (la Comunità di San Martino) o da quelle tradizionali (Fraternità di San Pio X, Fraternità di San Pietro, Istituto di Cristo Re, ecc.), senza operare una rimonta significativa, permette comunque di constatare una stabilizzazione del dato attorno alle centro ordinazioni annue: 110 ordinazioni nel 2020, di cui 16 dagli istituti tradizionali, Fraternità di San Pio X compresa; 88 nel 2015, di cui 20 dagli istituti tradizionali; 112 nel 2010, di cui 16 dagli istituti tradizionali. Ciò sottolinea l’importanza assunta in proporzione dalle ordinazioni tradizionali: dal 15 al 16% delle ordinazioni compiute ogni anno in Francia riguarda sacerdoti legati alla liturgia tradizionale.
La crescita della Comunità di San Martino è uno dei segni rivelatori di quest’evoluzione in senso conservatore. Fondata nel 1976, accolta in primo luogo dal cardinal Siri nella diocesi di Genova (la Fraternità di San Pio X s’installava in Svizzera, la Fraternità di San Pietro più tardi in Germania, l’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote in Italia), conta oggi un centinaio di preti ed ancor più sono i seminaristi, in grandissima maggioranza francesi. 11 suoi preti sono stati ordinati nel 2020, 26 dovrebbero esserlo nel 2021.
Tutti questi nuovi sacerdoti sono frutto di un cattolicesimo, che ha esso stesso cambiato profilo. Nel 1960, il 25% dei Francesi assisteva ogni domenica alla messa; 50 anni dopo il Vaticano II, l’1,8% vi assiste ancora[iii].
Questo popolo, che continua a praticare e soprattutto a trasmettere il Cattolicesimo di generazione in generazione, è nettamente più «identitario». In un’intervista concessa a Marianne il 17 novembre 2020 («Manifestazioni per le messe – Le autorità cattoliche hanno l’impressione d’esser sorpassate dalla loro base conservatrice»), Yann Raison du Cleuziou, docente di Scienze Politiche all’università di Bordeaux, osserva: «Il profilo dei praticanti si ricompone attorno a coloro che restano e tendenzialmente i più conservatori sono quelli che trasmettono meglio la fede nelle proprie famiglie. I vescovi non possono più ignorare la gioventù, che ne è sortita e che è alquanto irrequieta e senza complessi». Ed è da questa gioventù, che sono oggi sbocciate le vocazioni sacerdotali.
Lo stesso Yann Raison aveva pubblicato Una controrivoluzione cattolica[iv]: le generazioni che hanno «fatto il Concilio» si sono logorate, sono in gran parte svanite ed oggi, in un cattolicesimo ridotto ad un piccolo manipolo di praticanti, costoro si rivelano essere in maggioranza dei «conservatori», nel senso che hanno mantenuto una sorta di «conservatorio» ancora assai vivo. Questo fenomeno di resistenza cattolica di base, spiega Yann Raison, presenta anche qualche analogia con altri movimenti sociali contemporanei, soprattutto per il fatto d’esser popolare – per non dire populista – come reazione alle «élite» attive, nello specifico qui contro la gerarchia cattolica.
Questa discrepanza tra i cattolici di oggi ed i loro superiori naturali si ritrova di fatto tra i seminaristi ed i loro formatori, una distorsione che sta tuttavia riducendosi per natura propria e che continuerà a farlo in virtù dell’accesso delle nuove generazioni ai posti di responsabilità, ma ciò avverrà molto lentamente e con grandi resistenze per l’influenza ideologica dello «spirito del Concilio», anche quando interpretato in modo conservatore.
Ripensare la formazione sacerdotale diocesana
Sembra chiaro che in un contesto totalmente nuovo, la formazione dei preti di domani non può ricalcare in modo identico, almeno nelle diocesi, quella dei seminaristi degli Anni Cinquanta del XX secolo. Si dovranno ricostituire anche seminari classici o converrà, al contrario, immaginare una formazione molto più elastica, integrata nelle parrocchie e nelle comunità pastorali?
Quali che siano le opzioni scelte, si dovrà permettere una formazione pastorale adeguata ad una situazione di cattolicesimo missionario, certamente minoritario, ma chiamato a rappresentare nella società democratica contemporanea la spina dorsale di una contro-cultura. La cosa più importante sarà quella di assicurare una formazione spirituale ed intellettuale molto esigente, esigente in sé e nel considerare i bisogni prodotti da cinquant’anni di una falsa riforma nella Chiesa.
Punti essenziali da studiare: storia critica approfondita del Cattolicesimo dopo la Rivoluzione; ecclesiologia, che tenga conto delle obiezioni, che costituiscono le vie ambigue dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso; cristologia nell’epoca della decomposizione, che le hanno fatto subire le ultime trasformazioni del modernismo; studio non edulcorato dei fini ultimi; trattato De Eucharistia, per prender atto dell’insipidirsi della dottrina sulla transustanziazione e soprattutto sul sacrificio sacramentale; morale matrimoniale al di fuori delle teorie di gradualità; ecc.
Bisogna tener presente che nelle situazioni conflittuali – che verranno esacerbate quando verrà posta in essere una ricostruzione – l’adozione di una posizione mediana, di «giusto mezzo» rappresenta una potente e permanente tentazione. All’epoca della «generazione Giovanni Paolo II», questa ricerca di una terza via era rappresentata in Francia da seminari come quelli di Paray-le-Monial, Aix-en-Provence, Ars, Parigi, dove rifiorì, dal diaconato in poi, il clergyman di rigore. Anche la Comunità di San Martino, dove si passò dal clergyman alla talare, nonostante i suoi assi nella manica, riscontra, con ogni probabilità, questa debolezza.
Quanto alla vita ai margini, cui vengono costrette le comunità votate alla liturgia tradizionale, liturgia che per il solo fatto di permanere contesta l’evoluzione registratasi nella Chiesa nell’ultimo mezzo secolo, essa dona loro ad un tempo sia la forza di un’identità cattolica alquanto leggibile, sia l’handicap derivante dall’esser considerati preti di serie B. L’importante evoluzione del mondo cattolico in corso, a condizione che venga canalizzata dai vescovi ed, alla fine, da un papa, che siano davvero riformatori, dovrebbe condurre tale mondo tridentino a passare, con umiltà ma anche con determinazione, dallo stato di pietra d’inciampo a quello di pietra angolare della ricostruzione futura.
Don Claude Barthe
[i] In merito, vedere: Hervé Le Bras e Monique Lefebvre, «Una popolazione in via di estinzione: il clero francese», in Population, 1983, 38-2, pp. 396-402.
[ii] https://laportelatine.org/actualites/actualites-eglise/cdq.
[iii] Inchiesta Ipsos per La Croix, 12 gennaio 2017. La percentuale, di recente, si è ulteriormente abbassata, poiché si ritiene che il 30% circa dei praticanti abbia cessato di esserlo dopo quel che si è convenuto di chiamare la crisi sanitaria.
[iv] Una contro-rivoluzione cattolica. Alle origini della Manif pour tous, Seuil, 2019.