Una sezione Summorum Pontificum in un seminario diocesano o interdiocesano
Far posto alla «minoranza creativa» dell’usus antiquior
In questi ultimi anni si è assistito alla chiusura dei seminari interdiocesani di Lille e di Bordeaux e la Santa Sede, attraverso la Congregazione per il Clero, sembra voler incoraggiare le aggregazioni di seminaristi provenienti da varie diocesi in strutture capaci di assicurare una vera vita comunitaria ed una formazione offerta da insegnanti competenti ed esperti. Tuttavia il rischio è anche quello d’allontanare i seminaristi dalle Chiese locali che dovranno servire e di far dimenticare che il vescovo diocesano è il primo responsabile della pastorale delle vocazioni e della formazione del suo clero. Basta leggere i canoni dal 232 al 264 del Codice di Diritto Canonico del 1983, per rendersi conto di quanto il vescovo diocesano abbia una responsabilità propria ed inalienabile.
Comunque sia, la nuova Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, che data 8 dicembre 2016 e di cui si attende ancora l’adattamento per le diocesi di Francia (sotto forma di una Ratio nationalis), fornisce le linee generali della formazione spirituale, dottrinale e pastorale dei candidati al sacerdozio diocesano. Oltre ai requisiti scientifici e accademici, il testo insiste particolarmente sul necessario equilibrio affettivo, relazionale e spirituale dei futuri ministri, per divenire ad un tempo discepoli di Cristo e missionari della Chiesa.
Sempre più giovani hanno sentito la chiamata vocazionale nel contesto di famiglie e comunità legate alla forma extraordinaria del rito romano. Molti si uniscono allora ad istituti od a società, che celebrano tale forma, che svolgono un apostolato al servizio di questi fedeli e che hanno proprie case di formazione. Ma un certo numero di loro desidera anche consacrarsi ad un mistero pastorale «classico» al servizio delle parrocchie, delle famiglie, delle cappellanie, dei movimenti, restando fedeli in tutto alla grazia ricevuta con la liturgia tradizionale, ch’essi intendono celebrare senza veti. Hanno anche sperimentato come ciò non sia di ostacolo, al contrario rappresenti un sostegno nell’evangelizzazione della società contemporanea.
La sfida è anche, per i vescovi, quella di non lasciare in un ghetto i fedeli legati alla forma extraordinaria. Infatti avranno per loro preti, opere, istituzioni, scuole, movimenti, vocazioni, seminari,… Ancor più, è proprio il fatto di tornare allo spirito del motu proprio Summorum Pontificum del 2007, che esorta a fare della forma extraordinaria una realtà parrocchiale. In tale ipotesi, occorre formare dei seminaristi in vista di questo ministero «preferenziale», ma non esclusivo.
Si può pertanto immaginare che, all’interno di un seminario diocesano o interdiocesano, si possa far posto a tale realtà ecclesiale, che costituisce certamente una «minoranza creativa», per riprendere l’espressione del papa emerito Benedetto XVI.
Quattro proposte concrete possono essere avanzate:
- La vita liturgica in seminario
Sembra evidente come i seminaristi, che si riconoscano in questo spirito, debbano poter beneficiare di almeno una parte dell’ufficio cantato o recitato secondo l’usus antiquior; ad esempio, vespri e compieta. Si potrebbe anche immaginare una messa su due celebrata secondo la forma extraordinaria. Se i superiori non concepissero la celebrazione solo per una parte del seminario, si potrebbe alternare la forma ordinaria in francese, la forma ordinaria in latino, la forma extraordinaria, il tutto per la totalità dei seminaristi.
La formazione liturgica dovrebbe essere più approfondita e continua per tutti gli anni del seminario, ponendo attenzione ad una formazione pratica, che vada all’essenziale del cerimoniale e delle rubriche della celebrazione di tutti i sacramenti e dei sacramentali.
2. La formazione dottrinale
Quel che dovrebbe essere la norma per tutti i seminari dal punto di vista del contenuto della formazione non si ritrova quasi che nei seminari o nelle case di formazione Ecclesia Dei. Si dovrà dunque cercare di applicare alla fine le differenti direttive date dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica in una prospettiva chiaramente «restaurazionista» fino al 2013, dai tempi in cui aveva in carico la formazione dei seminari (a proposito dell’insegnamento filosofico, della formazione teologica, dello studio dei Padri, della spiritualità, della teologia mariana, della propedeutica, testi di cui la maggior parte sono solo in lingua italiana sul sito della Santa Sede!).
Dobbiamo insistere sul ruolo centrale di san Tommaso. Se una piccola introduzione storica e teologica è molto utile, si porrà attenzione soprattutto ad iniziare i seminaristi al metodo di san Tommaso per lo studio dei testi. Da questo punto di vista, un lavoro svolto come seminario di studi potrebbe rivelarsi fruttuoso accanto a lezioni più mirate. È un buon metodo per lavorare insieme alla risoluzione di problemi dottrinali e pratici, che si presentano oggi.
L’esperienza mostra come la questione della salvezza (che, sempre dopo il decreto conciliare sulla formazione dei preti Optatam totius, dev’essere oggetto di un insegnamento preliminare, per unificare l’intera formazione ecclesiastica) e l’approfondimento del mistero di Cristo debbano avere un posto centrale tra i precetti dati in seminario.
3. La spiritualità e lo stile di vita
L’educazione ad un’autentica ascesi è forse ciò che manca di più oggi nella formazione. Intendo ascesi come esigenza concreta di una spiritualità solida e radicata e d’una chiara percezione delle difficoltà molto concrete che il prete incontrerà sin dagli inizi del suo ministero. Si può fare un’analogia con ciò che si è vissuto (o si dovrebbe esser vissuto) negli istituti secolari: il fatto di vivere una vera consacrazione nel mondo senza sostegno visibile e materiale (a differenza dei religiosi, che beneficiano di una vita comune e di un’organizzazione concreta della vita, che normalmente garantisce la priorità data allo sviluppo della vita spirituale) esige una formazione iniziale estremamente edificante.
Fatto salvo il fatto che un istituto secolare abbia sempre una spiritualità propria, diversamente non potrebbe esistere. Per dei seminaristi Summorum Pontificum, sarebbe bene cogliere qualche tema privilegiato più generale: spiritualità della messa e della liturgia; nutrirsi di ciò che si celebra; il Cristo sommo sacerdote e buon pastore; essere nel mondo senza essere del mondo; l’apostolo oggi… Qui è ancora possibile attingere tanto dalla Scuola francese di spiritualità che dal rinnovamento missionario del XIX secolo e dagli Anni Trenta-Cinquanta del secolo scorso.
Il promuovere un certo stile di vita deve incoraggiare la pratica delle virtù ordinarie, che mancano talvolta ai ministri sacri, secondo quanto Optatam totius sottolineava già a suo tempo: buona educazione, cordialità, pazienza, bontà, magnanimità, semplicità, tanto verso i confratelli quanto verso i fedeli. Peraltro, li si incoraggerà ad adottare una reale disciplina di vita nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione sociale, privilegiando sempre la lettura e la riflessione ed usando con parsimonia della radio, della televisione e di Internet. L’esigenza intellettuale, il rigore del discernimento, lo spirito di discernimento, la capacità di valutare in modo critico le differenti pastorali poste in essere da decenni, la cultura classica sono le migliori armi contro l’invasione dell’affettività, del sentimento, del soggettivismo, dell’infantilismo insomma, che sono lo stadio ultimo, se così posso dire, del volontarismo e del fascino, che esercitano sui sacerdoti e sui laici impegnati le varie ideologie, dure o morbide, imperversanti a tornate regolari e successive dalla fine degli Anni Sessanta: l’insieme politico; l’insieme pedagogico; l’insieme psicologico; l’insieme della comunicazione; l’insieme del coaching e del management; l’insieme ecologico e dello sviluppo sostenibile…
Per i seminaristi Summorum Pontificum il fatto di portare l’abito ecclesiastico andrebbe autorizzato in via permanente e compreso nelle forme di apostolato dal momento dell’ammissione, nonché reso obbligatorio per tutti gli atti di culto e per gli esercizi comunitari di pietà a partire dal primo anno di filosofia.
4. La formazione pastorale
Risulta del tutto evidente che la nostra proposta incontrerà molte obiezioni, la principale delle quali sarà senza dubbio quella di contribuire così ad una visione clericale del ministero. Ma è venuto il momento anche di chiedersi se, in un mondo assolutamente decristianizzato ed ignorante, l’irruzione di questo modello di sacerdozio, molto lontano dalle superstrutture ecclesiali divenute tanto più pesanti quanto più i loro promotori si son fatti sempre più vecchi e sempre più rari, non presenti una provocazione, una chiamata, una prova, una domanda? È necessario dunque formare dei pastori sufficientemente liberi circa i modi di fare ed organizzare la vita ecclesiale, modi che, nel medio termine, non producono nulla, non un bambino in più al catechismo, non un catecumeno adulto; pastori, che siano degli acrobati della nuova evangelizzazione, radicati spiritualmente e dottrinalmente, strutturati intimamente attraverso la liturgia tradizionale, tali da dar priorità ai contatti, tanto con i fedeli quanto con coloro che siano stati loro affidati pastoralmente ed ai quali essi mostreranno la via della Chiesa e da qui la via del Cielo.
P. Laurent-Marie Pocquet du Haut-Jussé, sjm
Jean-Jacques Olier : la riforma del sacerdozio attraverso l’Eucaristia
Uno dei più grandi maestri di quella ch’è stata chiamata, dopo Henri Bremond, la Scuola francese di spiritualità, Jean-Jacques Olier (1608-1657), parroco di San Sulpizio, è stato uno degli artigiani più efficaci in Francia della riforma voluta dal Concilio di Trento per sacerdoti e fedeli. Il prete deve consumarsi nell’adorazione dinanzi all’Eucaristia. Il termine della sua vocazione è l’Eucaristia, di cui egli deve nutrire sacramentalmente e spiritualmente i fedeli, per renderli partecipi dell’unica lode verso il Padre, quella assunta da Gesù Cristo: «È questa convinzione sul sacerdozio, che ha fatto di Olier uno dei più efficaci riformatori del clero francese e, da qui, uno degli educatori della spiritualità occidentale dei secoli XVII-XX – attraverso Jean-Baptiste de La Salle, Louis-Marie Grignion de Montfort, i Padri Libermann e Faber, Mons. Gay ed il cardinale Mercier» (Irénée Noye, articolo «Jean-Jacques Olier», Catholicisme, Letouzey et Ané, 1983, col. 61).