Il malessere dei «nuovi sacerdoti»
Un’opera collettiva molto interessante – e significativa -, Les sacrements en question. Qui peut les recevoir? [I sacramenti in discussione. Chi può riceverli?], a cura di Thibaud Guespereau, Henri Vallançon, sacerdoti, e Thibaud Collin, filosofo[1], descrive lo stato di sofferenza dei preti «che vedono come i sacramenti che celebrano vengano ricevuti». Così constatano come un gran numero di battezzati adulti non ritorni a messa la domenica successiva al loro battesimo e come le coppie sposate, che hanno preparato al sacramento, si separino l’anno dopo. A ciò si aggiunga il fatto che essi vedono come l’insieme di coloro che partecipano a tutte le messe si comunicano sempre, benché solo un numero esiguo si accosti qualche volta al confessionale. Da qui l’eterna domanda pastorale, ma che si pone in modo scottante all’interno di un mondo cattolico malato dai confini molto porosi nei confronti della società indifferente che lo circonda: «[Un pastore] deve discernere e respingere i candidati che non hanno fede e/o vivono in modo disordinato? Non rischia così di creare una Chiesa di puri? O, al contrario, se accetta con eccessiva indulgenza, non rischia di offendere Dio e di recar pregiudizio alla Chiesa ed ai richiedenti stessi?
Si trovano in questo libro considerazioni assolutamente opportune sulla crisi della predicazione dei fini ultimi, sul deteriorarsi della nozione di peccato mortale nella teologia contemporanea ed anche l’esempio di una parrocchia del Sud della Francia, in cui si pone in essere un serio discernimento circa le richieste dei sacramenti, applicato alle domande di matrimonio e di battesimo per sé o per un figlio: almeno questo è ciò che si suppone, poiché il testo resta spesso allusivo. Si comprende tuttavia la prudenza, necessaria in un’opera destinata al grande pubblico. Così com’è, nel mondo cattolico di oggi, essa rappresenta una specie di bomba, poiché scuote il lasciar fare, il pressapochismo pastorale. Ma lo è soprattutto per ciò che rivela questo fatto enorme: non si trova un solo vescovo tra gli autori o i prefatori di questo libro, che spiega semplicemente cosa sia lo stato di grazia ed il peccato mortale che lo toglie.
È questo il punto che fa male: tra i vescovi ed una buona parte di coloro che formano le giovani generazioni di preti c’è un abisso d’incomprensione. È ben noto come i fedeli, appartenenti a ciò che si è convenuto di chiamare le «forze vive» ancora rimaste, si sentano come pecore senza pastori. Ma bisogna sapere che un numero significativo di preti diocesani si trovano in una situazione simile. Da qui il profondo malessere di questi chierici, che vengono definiti «classici» o «nuovi preti» abbandonati oppure guardati con sospetto dai loro superiori.
Don Claude Barthe
[1] A cui hanno partecipato tra gli altri Padre Pascal Ide, Mons. Christophe J. Kruijen, don Gauillaume de Menthière, Gabrielle Vialla (Artège, 2024).