01/03/2022

L’istinto delle fede in una situazione d’attesa

Par l'abbé Claude Barthe

Français, English

Cattolici abbandonati a sé stessi cercano di resistere oggi all’accelerazione delle questioni poste dal Concilio: essi si aggrappano all’istinto della fede, che non deve confluire in una sorta di libero esame tradizionale, al di fuori di ogni autorità, ma deve costituire al contrario un appello pressante al pieno ristabilimento dell’insegnamento della fede nel nome di Cristo.

Fino a questo pontificato, nel disordine del post-concilio, restavano due zoccoli «duri»:

  • L’insegnamento morale, da una parte, simboleggiato dall’enciclica Humanæ vitæ. Ne sono derivati numerosi testi ed anche un clima e quasi un ambiente di «restaurazione», teoricamente al potere, ma concretamente minoritario, che ha trovato il proprio sbocco ed il proprio limite col pontificato di Benedetto XVI.
  • Dall’altra parte, permaneva l’esistenza, ancor più minoritaria ma molto vivace, di un altro mondo, accanto al precedente, quello dei fruitori della liturgia preconciliare, la cui conservazione ha trovato la propria legittimazione nel motu proprio Summorum Pontificum, esito di un lungo e moderato movimento di riconoscimento.

Tutto questo è stato spazzato via da Amoris lætitia e Traditionis custodes, testi accompagnati da altri «progressi» come la condanna della pena di morte nel Catechismo o, molto recentemente, sia pure per voce di un organismo secondo, l’Accademia Pontificia per la Vita, il semaforo verde dato all’episcopato italiano circa l’incoraggiare le «legislazioni imperfette» (il suicidio assistito) allo scopo di bloccare legislazioni peggiori (l’eutanasia pura e semplice).

Perciò, la solitudine dei fedeli, che respingono questi «progressi», peggiora. Nulla di fondamentalmente nuovo, si dirà, nel quadro postconciliare. Si pensi, ad esempio, alla prosecuzione, in mezzo a mille insidie, nell’insegnamento del catechismo «di una volta» al posto dei nuovi catechismi, che hanno invaso parrocchie e scuole dalla fine degli Anni Sessanta. Supponendo che il Catechismo della Chiesa cattolica abbia risolto tutte le difficoltà, il che è discutibile, esso non è stato pubblicato che nel 1992: la vacatio catechismi è durata trent’anni, ammesso che sia chiusa.

Il sensus fidelium o «infallibilità» passiva

La nozione, di per sé alquanto classica, di sensus fidei/fidelium è stata utilizzata come mezzo per democratizzare il magistero e per adottare idee progressiste. La Commissione teologica internazionale, quando Padre Serge-Marie Bonino ne era ancora segretario, ha cercato di reagire e di ricollocare il sensus fidelium dalla parte dell’ortodossia: «È chiaro che non si saprebbe identificare puramente e semplicemente il sensus fidei con l’opinione pubblica o con quella della maggioranza. Non sono in alcun modo la stessa cosa. […] Nella storia del popolo di Dio, spesso è stata non la maggioranza, bensì piuttosto una minoranza ad aver davvero vissuto la fede e ad averGli reso testimonianza»[1].

Una spiegazione è necessaria. Benché i due termini siano spesso impiegati indifferentemente, si può distinguere il sensus fidei come individuale ed il sensus fidelium come collettivo. D’altronde il sensus fidei di ciascun credente è la prosecuzione del sensus fidelium di tutta la Chiesa, allo stesso modo in cui il bene di ciascun individuo risulta dal bene comune.

  • a) Il sensus fidelium può essere praticamente equiparato a quel che i teologi chiamano «l’infallibità passiva» o infallibilità in credendo, in ciò che deve essere creduto[2]. La Chiesa nel suo insieme ha una capacità connaturata di ricevere le parole di coloro che insegnano in nome di Cristo. Essa non può cadere in errore in ciò che crede, poiché altrimenti non sarebbe più la via unica e necessaria di salvezza e cesserebbe d’essere la vera Chiesa di Cristo. Tale infallibilità passiva è il contrario, se si vuole, dell’infallibilità attiva, il cui scopo è quello di conservare la comunità dei fedeli nella dottrina immutabile della fede e dei costumi. «È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo, scritta per il nostro ministero, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori» (II Cor 3,3). E san Vincenzo di Lérins nel Commonitorium (2, 6): «Noi seguiremo la fede cattolica [l’universalità], se professiamo che quella è l’unica vera fede, che professa tutta la Chiesa in tutto l’universo».
  • b) In ogni credente, il sensus fidei è un istinto, un dono, che accompagna la virtù della fede. Tutte le virtù producono una specie d’istinto connaturale (ad esempio, un istinto di riservatezza e di pudore, che accompagna la castità). Così anche la fede produce una specie d’istinto, che inclina il credente a compiere degli atti di adesione alla verità rivelata[3].

Si può dire anche che il ricorso al sensus fidei dipenda dalla crescita della fede in colui che l’ha ricevuta: porta il fedele a credere, sviluppando quanto gli è stato insegnato, anche oltre ciò ch’egli ha espressamente ricevuto. Ovviamente, in tal caso solo il Magistero può stabilire alla fine se si tratti di sensus fidei o di congetture umane. Nella IIa IIæ della Somma Teologica, q. 1, a 3, ad 3, san Tommaso precisa, ad esempio, che alcuni, prima della nascita di Cristo, si sbagliarono circa il tempo in cui Egli dovesse nascere: era dunque nel loro caso una semplice «congettura umana». Ma al contrario fu proprio il senso della fede a far credere molti cattolici all’Immacolata Concezione, prima che ne venisse ratificato il dogma nel 1854.

L’istinto della fede in una situazione di attesa

Si potrebbe quindi dire che quanti restano fedeli alla liturgia tradizionale ed a punti della dottrina oggi in pericolo si trovano nella stessa condizione degli abitanti di Lione, che illuminarono le loro case nella festa dell’Immacolata Concezione, benché la concezione immacolata della Vergine fosse ancora oggetto di controversie.

Tuttavia, come sempre accade in questo tipo di ragionamenti, in cui si ricercano nella storia elementi, in grado di far luce sulle difficoltà presenti (tre o quattro papi hanno insegnato la tale eresia o sono caduti nella talaltra ambiguità; un decreto del Concilio di Costanza, Frequens, s’è rivelato eterodosso), la ricerca non conduce alla fine che ad una raccolta alquanto scarna di situazioni di crisi dottrinale, che non hanno mai avuto la portata o, in ogni caso, la durata[4] della presente, nemmeno i 40 anni del Grande Scisma con i suoi due o tre papi. L’attuale situazione d’attesa del magistero è davvero eccezionale.

Resta il fatto che, in qualsiasi ipotesi di durata e di ampiezza, il sensus fidei/fidelium gioca dal punto di vista dell’obbedienza alla fede lo stesso ruolo svolto dall’istinto, che accompagna la virtù dell’obbedienza. Il sensus fidei/fidelium dispone lo spirito e la volontà ad aderire ad ogni insegnamento della Chiesa così come l’istinto dell’obbedienza dispone in anticipo a sottomettersi alla legge o agli ordini che assumerà il legittimo superiore. E, quando chi è soggetto si trova dinanzi un caso non ancora espressamente previsto dalla legge o dagli ordini dati oppure di fronte a leggi o ad ordini ingiusti, s’egli non ha i mezzi morali per ricorrere al superiore (e giustamente, se fosse proprio questi ad ordinargli di peccare), deve supporre, in virtù del suo istinto d’obbedienza, quanto il superiore gli ordinerebbe realmente.

Similmente, l’istinto della fede aiuterà chi è fedele a Cristo ogni volta che gli insegnamenti del magistero non gli indichino ancora con chiarezza ciò ch’egli debba credere e ciò ch’egli debba fare. Ma lo aiuterà anche quando insegnamenti inadeguati gli dicano, ad esempio, che persone in stato di pubblico adulterio, pur conoscendo la norma morale, non commettono peccato grave in virtù delle circostanze concrete (Amoris lætitia, n. 301) o ancora che i libri liturgici promulgati prima di quelli di Paolo VI non sono espressione della lex orandi (come risulta da Traditionis custodes, art. 1). L’obbedienza nella fede impone di non sottomettersi alla prescrizione ingiusta. E questa apparente insubordinazione, che è in realtà una sottomissione più profonda, sollecita il magistero ad intervenire per indicare in nome dell’autorità di Cristo ciò che si debba credere e ciò che si debba fare.

Per una restaurazione dell’autorità magisteriale

Resistendo ad un ordine ingiusto, in virtù del sensus obedientiæ, in un certo senso si sovra-obbedisce. E si contribuisce a provocare presto o tardi l’intervento del superiore per confermare la fondatezza delle azioni giuste e virtuose. Allo stesso modo, il sensus fidei/fidelium, che si dispiega nel «vuoto» magisteriale sprona il magistero ad intervenire. Perché se l’istinto della fede può supplire all’atto dell’autorità docente, sul modello di un atto di legittima difesa, esso costringe alla fine a por termine al silenzio dell’autorità docente. Così, benché l’esempio storico sia ben più circoscritto nel tempo di quanto ora ci sia dato di vivere, quando si pose ai parroci francesi, nel 1790, il dilemma di prestare o meno il giuramento costituzionale, coloro che non giurarono lo decisero da soli, secondo il proprio sensus fidei poiché il papa tacque. Ma nel fare ciò, essi sollecitarono l’intervento di Pio VI, che finì per condannare l’adesione alla Costituzione civile del clero col breve Quod aliquantum del 10 marzo 1971.

L’intervento, quantunque timido, di Summorum Pontificum[5] ha ugualmente rappresentato la legittimazione del ricorso all’antica liturgia da parte di numerosi cattolici, in virtù del loro istinto della fede dal 1969 al 2007. Si potrebbe considerare Summorum Pontificum come una præparatio magisteriale, un annuncio di quella che sarà la conferma con piena autorità magisteriale del fatto che la liturgia precedente il Vaticano II sia effettivamente l’espressione della fede della Chiesa romana. E anche un annuncio di interventi definitivi nell’ambito della morale coniugale e più in generale nell’ambito dei rapporti della Chiesa col mondo di questo tempo.

Don Claude Barthe


[1] «Le sensus fidei dans la vie de l’Église» [«Il sensus fidei nella vita della Chiesa»], CTI, 10 giugno 2014, n. 118.
[2] Cfr. ad esempio: Jean-Marie Hervé, Manuale theologiæ dogmaticæ, Berche, Parigi, 1957, vol. 1, n. 465.
[3] San Tommaso, Somma Teologica, IIa IIæ q 2 a 3 ad 2.
[4] Si conosce la famosa frase di san Girolamo, secondo cui all’epoca del concilio di Rimini, «il mondo intero gemette, stupito di risvegliarsi ariano». Ma grandi voci ortodosse continuarono a farsi sentire e l’eclissi conseguente alla debolezza di papa Liberio è stata assai passeggera.
[5] Deliberando attraverso un semplice participio passato collocato accanto ad un avverbio di negazione che il rito antico non era stato soppresso: «Viene dunque permesso di celebrare il Sacrificio della Messa seguendo l’edizione tipica del Messale romano promulgato dal beato Giovanni XXIII nel  1962 e mai abrogato».