Le istruzioni del ralliement di Leone XIII, una falsa buona idea
Le istruzioni del Ralliement [adesione] alla Repubblica date da Leone XIII ai cattolici francesi erano un’anticipazione del Vaticano II[1]? In realtà, le direttive contenute nell’enciclica Au milieu des sollicitudes [Tra le sollecitudini] volevano essere tattiche. Tuttavia, pur nel modo un po’ acrobatico con cui Leone XIII le formulò, c’è qualcosa di teorico, persino di teologico, almeno per difetto. A questo proposito, si potrebbe, per lontana analogia, parlare di insegnamento «pastorale».
Leone XIII, papa antimoderno
Raffrontato al momento di rottura, costituito dalla Rivoluzione, un magistero antimoderno della Chiesa s’è costituito a partire da Pio VI, che condannò la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo (Quod aliquantum del 10 marzo 1791 e Adeo nota del 23 aprile 1791). Proseguì contro il liberalismo cattolico con la pubblicazione dell’enciclica Mirari vos di Gregorio XVI del 15 agosto 1832. Culminò sotto Pio IX con l’enciclica Quanta cura dell’8 dicembre 1854 contro tutti gli errori moderni, accompagnato dal Syllabus errorum, un elenco di proposizioni condannate. Dopo l’annessione degli Stati pontifici al nuovo regno d’Italia, questo magistero si è in qualche modo rafforzato da Leone XIII a Pio XI (Quas primas, 11 dicembre 1925), divenendo un insegnamento più direttamente consacrato a principi politici.
Tra i principali interventi di Leone XIII, che denunciano i nuovi principi (Quod Apostolici Muneris, 1878, Diuturnum illud, 1881, Libertas præstantissimum, 1888), l’enciclica Immortale Dei del primo novembre 1885 sulla «costituzione cristiana degli Stati» ne costituisce una sintesi: «Qualunque sia la forma di governo, tutti i capi di Stato devono assolutamente avere le sguardo fisso a Dio, sovrano Moderatore del mondo, e, nell’adempimento del proprio mandato, assumerLo come modello e regola».
L’enciclica definisce con l’appellativo di «diritto nuovo» la nuova concezione della società e dei rapporti sociali che i principi moderni hanno generato. Si tratta di un «Diritto nuovo, sconosciuto fino ad allora, e su più punti in contrasto non solamente con la legge cristiana, bensì anche con la legge naturale». Esso discende dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1789: il potere non emana più da Dio, come afferma san Paolo (Rm 13, 1), ma «il principio di ogni Sovranità risiede essenzialmente nella nazione» (art. 3) e la legge, «espressione della volontà generale», viene sganciata dal suo riferimento alla legge divina (art. 6).
È questo ciò che condanna l’Immortale Dei per quel che riguarda la sovranità («La sovranità di Dio viene passata sotto silenzio, esattamente come se Dio non esistesse […] o come se fosse possibile immaginare una qualsiasi potenza la cui causa, la cui forza, la cui autorità non risiedesse interamente in Dio stesso») e per quel che riguarda il diritto («lo Stato non è altro che la massa padrona e che governa sé stessa»).
Il «diritto nuovo» è pertanto il frutto dei nuovi principi nati dalla frattura rivoluzionaria ed emana da un nuovo Stato, in cui «il popolo è tenuto ad essere la fonte di qualsiasi legge e di qualsiasi potere». Esso «passa la sovranità di Dio sotto silenzio» e tratta la Chiesa come se fosse «semplicemente un’organizzazione simile alle altre esistenti nello Stato».
Per la legge cristiana e per il diritto naturale, invece, la legge ha come oggetto «ciò che è buono o cattivo naturalmente, aggiungendo una sanzione adeguata alla prescrizione di praticare il primo e di evitare l’altro». Queste vere e proprie leggi, ordinate al bene comune dello Stato ovvero alla vita virtuosa e dunque alla vera felicità dei cittadini, non traggono in alcun modo la propria origine dalla società degli uomini; poiché, come non è stata la società a creare la natura umana, così non è la società a far sì che il bene sia in armonia ed il male in contrasto con tale natura; tutto questo è anteriore alla società umana e deve assolutamente essere ricollegato alla legge naturale e quindi alla legge eterna».
In virtù di quanto detto, il magistero pontificio anti-moderno in generale e l’Immortale Dei in particolare non nominavano esplicitamente l’oggetto delle loro condanne ovvero la democrazia liberale nella sua forma repubblicana in Francia o nella sua forma monarchica costituzionale in Italia. Ben più chiaramente sarà presa di mira lo Stato nazista dall’enciclica in tedesco Mit brennender Sorge nel 1937: «Chiunque, secondo una pretesa concezione dell’antico popolo germanico anteriore a Cristo, ponga l’oscuro ed impersonale Destino al posto di un Dio personale […] non può pretendere di essere posto nel novero di coloro che credono in Dio». E ancor di più nella Divini Redemptoris, sempre nel 1937, sarà preso di mira lo Stato comunista ed il suo potere stabilito dalla dottrina comunista in attesa dell’età dell’oro di una società senza classi e senza Stato.
Inoltre, l’Immortale Dei, nelle sue considerazioni finali, faceva intendere che lo Stato liberale potesse essere cattolicizzato: «È dunque evidente che i cattolici hanno giusti motivi per approcciarsi alla vita politica, poiché essi lo fanno e devono farlo non per approvare ciò che possa esservi di biasimevole attualmente nelle istituzioni politiche, ma per trarre da queste istituzioni, per quanto possibile, il sincero e vero bene pubblico, proponendosi di infondere in tutte le vene dello Stato, come una linfa ed un sangue ristoratore, la virtù e l’influenza della religione cattolica». La prospettiva di una sorta di trasfusione di sangue cattolico, per sostituire il criterio della volontà generale con quello della legge divina, può sembrare estremamente ingenuo. In realtà, in questa parte finale dell’enciclica, non si era lontani dalla tattica, che svilupparono le indicazioni del Ralliement sette anni più tardi con Au milieu des sollicitudes [In mezzo alle sollecitudini]: riempire le assemblee legislative di cattolici e di uomini di buona volontà, che, imbevuti di «buoni principi», si opponessero alle «cattive legislazioni».
Leone XIII, papa conciliatore
Infatti questo magistero antiliberale del Papato, che ha condannato senza tregua i principi della libertà moderna, divenuti progressivamente quelli degli Stati europei dopo la Rivoluzione, si sdoppiava in una prassi diplomatica, adottata dallo stesso Papato, che scendeva a compromessi con i poteri costituiti, nati dalla Rivoluzione.
Beninteso, occorre capire le buone intenzioni del Pontificato per salvaguardare quanto possibile in questo contesto radicalmente nuovo. È chiaro che la Santa Sede ha voluto garantire la libertà della pratica religiosa e dell’istruzione cristiana, non con tutte le sue forze[2], ma a qualsiasi prezzo – e il prezzo fu molto pesante. Ma l’accordo «Accetto la Repubblica, purché voi mettiate in secondo piano la laicità» non manifesta forse una forma di disperazione, che ritiene impossibile riconquistare il mondo perduto? Non è pertanto la nuova democrazia ad avere parole di vita eterna.
Lo iato tra la collera pontificia contro il nuovo stato di cose e la diplomazia della Santa Sede è dunque percepibile già all’indomani della Rivoluzione. Pio VI, il papa delle condanne del 1791, ritiene ciò nonostante di dover dire nel 1796, nel breve Pastoralis sollicitudo, di non aver mai mancato di «raccomandare [ai cattolici francesi] la sottomissione, che è dovuta ai poteri costituiti». La firma, nel 1801, del Concordato tra la Santa Sede ed il primo console Napoleone Bonaparte, che concedeva a quest’ultimo la nomina dei vescovi, di cui beneficiava il Re Cristianissimo, e l’incoronazione imperiale dello stesso Napoleone, erede riconosciuto della Rivoluzione, nel 1804, preannunciava le istruzioni di Leone XIII. Inoltre, dieci anni prima che i cattolici francesi venissero invitati ad abbandonare il conte di Chambord a favore di Jules Grévy, i cattolici spagnoli erano stati invitati nel 1882, con l’enciclica Cum multa, ad allontanarsi da Don Carlos e ad aderire al potere consolidato della monarchia liberale di Isabella II[3].
Più tardi, nel 1919, Benedetto XV, come vedremo più avanti, incoraggiò i cattolici portoghesi a seppellire il sogno di una restaurazione monarchica. Pio XI, nel 1926, mise all’indice il giornale L’Action française [L’Azione francese], misura accompagnata dalla privazione dei sacramenti a quanti continuassero a leggerlo, il che, concretamente, spezzava le reni ad una resistenza in gran parte cattolica al regime repubblicano. Si potrebbe anche citare il caso dei Cristeros messicani, costretti a trattare con il potere ed abbandonati alla persecuzione, che questo scatenò. Fatte salve le parentesi di san Pio X e del suo Segretario di Stato, Raphael Merry del Val, c’è stata una continuità nella linea diplomatica di conciliazione della Sante Sede con i Segretari di Stato, del resto grandi figure come furono i cardinali Consalvi sotto Pio VII, Rampolla sotto Leone XIII, Gasparri sotto Pio XI[4].
Leone XIII ha imposto ai cattolici il dovere di accettare le istituzioni all’epoca in vigore, affinché, divenuti legislatori tramite elezioni e tramite un partito cattolico ma repubblicano, promulgassero buone leggi, favorevoli alla religione. Infatti, «in pratica, la qualità delle leggi dipende più dalla qualità di questi uomini che dalla forma del potere. Queste leggi saranno dunque buone o cattive, a seconda che i legislatori abbiano lo spirito impregnato dii buoni o cattivi principi e che si lascino guidare o dalla prudenza politica o dalla passione», afferma ancora Au milieu des sollicitudes.
Resta il fatto che gli stessi principi della nuova legittimità su cui si fonda questa «forma di potere» molto specifica, rappresentata dalle istituzioni liberali moderne, fanno sì che il miglioramento della legislazione che si può ottenere preservando detta legittimità è alquanto aleatorio. La Repubblica del 1898 alla quale i cattolici francesi avevano il dovere di aderire era laica in sé prima ancora di esserlo per la sua legislazione. È vero ch’essa lo era divenuta per il fatto che i repubblicani, grazie al loro successo elettorale del 1877, avevano assunto i panni di una costituzione costruita dai sostenitori dell’«ordine morale», di cui il presidente Mac Mahon era il garante. In altre parole, una Repubblica che si sperava restasse conservatrice e non troppo repubblicana era diventata inequivocabilmente repubblicana. Leone XIII immaginava, per farla breve, la manovra opposta: i cattolici francesi cioè trasformati in sinceri repubblicani e uniti in un solo partito avrebbero vinto le elezioni e fatto rinascere una Repubblica conservatrice, favorevole al cattolicesimo.
Ma ciò non avvenne, come sappiamo, e la persecuzione religiosa si aggravò: espulsione dei religiosi, separazione tra Chiesa e Stato. L’errore fu quello di credere che si potesse giungere ad invertire il corso degli eventi rivoluzionari vincendoli sul loro stesso campo, quello della sovranità nazionale, tramite un trionfo elettorale[5]. A testimoniare contro la possibilità dell’aggiramento indolore sognato da Leone XIII è il caso dell’ascesa «repubblicana» di Salazar in Portogallo. Salazar, convinto sostenitore di uno Stato a costituzione cristiana, peraltro grande lettore di Maurras, era tuttavia un tipico cattolico «rallié» [«aderente»], che militava nel Centro accademico della Democrazia cristiana (CADC)[6]. Entrò in politica affiliandosi al Centro cattolico portoghese (CCP) per «promuovere la cristianizzazione della vita politica nazionale», incoraggiato dalla lettera Celeberrima evenisse di Benedetto XV del 18 dicembre 1919, che riproponeva per i cattolici portoghesi i temi d’Au milieu des sollicitudes: erano invitati «ad unire le loro forze per la difesa dei propri diritti, ad aderire in buona fede al potere civile e ad accettare senza reticenze gli incarichi pubblici che venissero loro proposti, poiché così esige il bene della religione e della patria»[7]. Venne eletto in questo contesto deputato per una legislatura. Tuttavia, se divenne ministro onnipotente delle finanze e poi capo del governo all’interno di un quadro costituzionale repubblicano, ch’egli conserverà sino alla fine, fu in realtà perché investito dal regime militare insediatosi con un colpo di Stato nel 1926, col generale-presidente Carmona, che gli consegnò le chiavi del potere.
È un caso simile l’esempio precedente di Gabriel Garcia Moreno[8], divenuto, in un quadro costituzionale identico, presidente della Repubblica dell’Ecuador nel 1860 (Repubblica ch’egli sostituì con la «Nazione ecuadoriana»). Infatti, Garcia Moreno, che avrebbe promulgato una nuova costituzione, che riconosceva la religione cattolica come la sola, vera religione e con diritto esclusivo di esistenza e di pubblica espressione, era salito al potere al termine di una guerra civile. Il suo assassinio nel 1875 segnò la fine dell’esperimento ed un altro golpe restituì il potere ai repubblicani. Peraltro, nella Repubblica ecuadoriana, ritornata laica nel 1895, un movimento di ralliement di tipo leonino fece sì che l’alto clero si allesse con il liberalismo moderato, senza tuttavia poter arrestare il corso della laicità.
D’altra parte, dato che la democrazia è divenuta lo stile di vita del mondo occidentale, il ribaltamento opposto, cioè il passaggio da un regime che si voglia essenzialmente cristiano ad una democrazia moderna, può eventualmente avvenire senza problemi, come un ritorno alla normalità, alla maniera di una «transizione democratica». Questo termine evoca il processo politico spagnolo di questo tipo avviato dopo la morte di Franco, processo del resto preparato in gran parte dalla stesso regime franchista[9].
Le «forme di governo»
In realtà, Leone XIII non ha esaminato la natura intrinseca del potere repubblicano più di quanto Pio VII avesse fatto per il governo napoleonico. Quella Repubblica era, secondo lui, una «forma di potere» tra le altre, monarchia e governo aristocratico. Solo che la democrazia classica, quella di Atene, era di un’altra natura rispetto alla democrazia moderna, il cui atto di nascita è, come si è detto, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, una democrazia che basa la sua legittimità, esclusiva rispetto a tutte le altre, non su Dio ma sulla nazione[10].
Certo, qualsiasi forma di governo, diceva Leone XIII, può essere buona, «purché sappia camminare dritta verso il suo fine ovvero il bene comune, per il quale l’autorità sociale è costituita». Il papa ha specificato che è possibile discutere quale sia il migliore dei regimi in sé ed anche per situazioni concrete specifiche nella storia dei popoli[11].
D’altronde è questo lo scopo del ragionamento di Leone XIII: neutralizzare in qualche modo questo tipo di regime – la Repubblica francese esisteva nel 1892 – in modo tale che non possa essere definita a priori come una tirannia. Nell’enciclica il papa basa tale neutralizzazione sulla «distinzione considerevole che esiste tra poteri costituiti e legislazione. La legislazione differisce a tal punto dai poteri politici e dalla loro forma, che, sotto il regime la cui forma sia la più eccellente, la legislazione può essere detestabile; mentre, al contrario, sotto il regime la cui forma sia la più imperfetta, si può trovare una legislazione eccellente».
Se non fosse che la neutralità di questa «forma di potere», che è la democrazia moderna, non è materiale moralmente né positivo, né negativo e che potrebbe essere adatta ad essere utilizzata in modo buono o cattivo a seconda del legislatore. In realtà, la sua neutralità va intesa in senso forte, contrario alla legge naturale, poiché fondata sul non riconoscimento della trascendenza divina. E poiché la tirannia si definisce come il regime nel quale il potere dirotta il bene comune per farne il proprio bene particolare, la tirannia secondo la «nuova legge» è la peggiore di tutte, poiché nega a Dio il suo potere sovrano sulla società in favore del presunto bene degli individui.
Noi ne conosciamo oggi le conseguenze estreme. Come abbiamo detto nel nostro articolo La dimensione politica della difesa del diritto naturaleIl caso della Francia – Res Novae – Perspectives romaines definire il diritto di uccidere un bambino innocente come uno dei diritti fondamentali ormai iscritto nella Costituzione rappresenta simbolicamente una sorta di picco nell’affermazione della prevaricazione della «volontà generale» degli individui sulla volontà divina. Questo passo estremo segue una serie di attacchi contro-natura condotti contro la famiglia, la legge Taubira sul «matrimonio per tutti» nel 2013, la legge sul PACS [PAtto Civile di Solidarietà] del 1999, la legge Neuwirth sulla pillola contraccettiva nel 1967, la legge Naquet sul divorzio nel 1884. Citiamo, a proposito del cammino percorso, Yves-Marie Adeline[12]: «Questa costituzionalizzazione segna la pienezza della democrazia ovvero un regime in cui il cittadino non riconosce alcun vincolo superiore a sé stesso, nessuna legge di Antigone, ma solamente la libertà».
La tattica leonina decisamente non era assennata.
Don Claude Barthe
[1] «Se è vero che l’idea dominante di Leone XIII fu, come scrive il suo biografo, quella di “riconciliare il mondo moderno con la Chiesa [Charles T’Serclaes di Wommerson, Le pape Léon XIII, sa vie, son action réligieuse, politique et sociale (Papa Leone XIII, la sua vita, la sua azione religiosa, politica e sociale), Desclée de Brouwer, 1894, vol. 3, pp. 714-715]”, il progetto pastorale, che fallì sotto il suo pontificato, si è realizzato col Concilio Vaticano II. Ciò che accadde a Roma dal 1962 a 1965 trova il proprio antecedente nel ralliément di Leone XII» (Roberto de Mattei, Le ralliement de Léon XIII. L’échec d’un projet pastoral [Il “ralliément” di Leone XIII. Il fallimento di un progetto pastorale], Cerf 2016, pag. 263).
[2] «Per condannare in tempo utile questa Società moderna, che si pretende liberale, ma in cui la libertà non è altro che la maschera della più abietta sottomissione al sistema economico, prefigurazione accecante della servitù totalitaria, non è la carità che è mancata alla Chiesa, ma la forza» (Georges Bernanos, Encyclique aux Français, Éditions de l’Homme nouveau, p. 26.
[3] Il carlismo non veniva nominato esplicitamente, ma era riconoscibile come opinione, «che identifica la religione con un partito politico e li confonde al punto da considerare l’insieme di un altro partito come tale da non meritare più il nome di cattolico» (cfr. Miguel Ayuso, La crisis de la cultura politíca católica, Dykinson SL, 2021, specialmente pp. 126-130.
[4] La linea di conciliazione di Pio VII, Leone XIII, Pio XI viene qualificata talvolta col termine di «consalvismo» (cfr. Fabrice Bouthillon, «Thomisme et consalvisme» nella Revue thomiste aprile-giugno 2024, pp. 267-280).
[5] È vero che dopo il 1830 una parte dei legittimisti, come Henri-Auguste de la Rochejaquelein, nipote di Enrico, promossero il ricorso al plebiscito per rinnovare il patto tra il popolo ed il re (Jean-François Chiappe, La France et le roi. De la Restauration à nos jours, Perrin 1994, pp. 373-374), ciò che invece il conte di Chambord rifiutò categoricamente. Ma il ricorso alle urne per via democratica era visto in tale prospettiva come la conferma del rovesciamento della Repubblica.
[6] «Il cristianesimo nella sua forma perfetta e completa non si oppone alle libertà pubbliche o alle istituzioni moderne. E se tra democrazia e Chiesa, c’è un gravissimo malinteso, spetta proprio a noi democratici cristiani, porvi rimedio» (Antonio Oliveira Salazar, Inéditos e dispersos, «Conferência de reabertura do CADC», vol. I, p.181).
[7] Yves Léonard, Salazar, le dictateur énigmatique, Perrin, 2024, pp. 68-69.
[8] Miguel Ayuso Torres, Álvaro R. Mejía Salazar (dir.), Gabriel García Moreno, el estadista y el hombre. Reflexiones en el bicentenario de su nacimiento, Dykinson, Madrid, 2022.
[9] Paolo VI esercitò notevoli pressioni su di lui affinché desse retta al suo lato più conforme alla dottrina di Cristo Re, in particolar modo riscrivendo l’art. 6 della Carta degli Spagnoli («la professione e la pratica della religione cattolica, che è quella dello Stato spagnolo, beneficeranno di una protezione ufficiale. […] Non verranno autorizzate altre cerimonie o manifestazioni esterne che non siano quelle della religione cattolica» nel senso della libertà religiosa («Lo Stato si assumerà la tutela della libertà religiosa, che verrà garantita da una protezione giuridica efficace in grado allo stesso tempo di salvaguardare la moralità e l’ordine pubblico»).
[10] Jean Madiran, Les deux démocraties, Nouvelles Éditions latines, 1977. Vedere anche i riferimenti storici in materia: Charles Maignen, dei Religiosi di San Vincenzo de’ Paoli, La souveraineté du peuple est une hérésie [La sovranità del popolo è un’eresia], A. Roger e F. Cernoviz, 1892, e Delacroix, 2016.
[11] Senza entrare nelle infinite discussioni a proposito del pensiero di san Tommaso su questo punto (ultima interpretazione in ordine di tempo: François Daguet, Du politique chez Thomas d’Aquin, Vrin, 2015), si sa ch’egli premesse per una monarchia «temperata» (De Regno, l. 1, c. 6), e si può ricordare ciò ch’egli dice nella Somma teologica: «La monarchia è la forma migliore di governo, se resta sana» (Ia IIae, q. 105, a. 1, ad 2.).
[12] «Le droit constitutionnel à l’avortement: la démocratie réalisée? [Il diritto costituzionale all’aborto: la democrazia realizzata?]»: Le droit constitutionnel à l’avortement: la démocratie réalisée? par Yves-Marie Adeline – Le Courrier des Stratèges (lecourrierdesstrateges.fr), nel Courrier des Stratèges, marzo 2024.