02/04/2020

Per una Chiesa verde

Par l'abbé Jean-Marie Perrot

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Nell’enciclica Laudato si’, Papa Francesco chiedeva una « conversione ecologica » (nn. 216-221). Il suo appello è stato ben recepito: ha dato vita a una moltitudine di discorsi e iniziative, promossi e incoraggiati in particolare dalla Chiesa di Francia, che ha reso questa conversione ecologica uno degli assi privilegiati della sua azione. Così, poco tempo fa, durante il discorso di chiusura dell’assemblea plenaria autunnale della Conferenza Episcopale di Francia, domenica 10 novembre 2019, il vescovo Éric de Moulins-Beaufort ha collocato la conversione ecologica in una posizione importante nel processo di conversione complessiva che dovrà operare la Chiesa francese di oggi. Oltre a questo,  ha parlato anche della necessità di instaurare di rapporti reali con le vittime di abusi sessuali, del rinnovamento della Chiesa attraverso la sinodalità e la collegialità, e del superamento delle tensioni sociali (velo islamico, immigrazione).

In quell’occasione si è fatta inoltre notare una nuova e coerente presenza di delegati laici, dato che ogni vescovo venuto a Lourdes ha portato con sé due persone della sua diocesi: il fatto che la sinodalità stesse prendendo forma, era da ascrivere alla necessità della conversione ecologica, come ha riferito il presidente della conferenza episcopale nel discorso già citato: « Siamo felici di aver vissuto in questo modo in una collegialità più forte con Papa Francesco alla luce della sua enciclica Laudato si’ in una certa forma di sinodalità potendo lavorare con i rappresentanti di tutto il popolo di Dio. »

Il marchio « Chiesa verde »

Ma cos’è in concreto questa conversione ecologica?

Il marchio « Chiesa verde » è altamente rappresentativo dell’entusiasmo suscitato dalla Laudato si’ e della promozione che ne fa la Chiesa. Si tratta di un marchio ecumenico. Creato nel settembre 2017 in occasione del decimo anniversario della giornata della creazione, nella sua presentazione su internet (egliseverte.org) si avvale di un doppio patrocinio: la COP 21 e l’enciclica Laudato si’, entrambi risalenti al 2015.

Si rivolge a parrocchie e a movimenti, e più in generale a tutti i gruppi riconosciuti dal Consiglio delle Chiese di Francia e, in linea con gli strumenti di gestione diffusi attualmente in campo religioso, vuole diventare lo strumento per misurare il rispetto verso il creato e per invitare le persone ad impegnarsi maggiormente. Il questionario, chiamato « ecodiagnosi », che è il presupposto per l’acquisizione del marchio (che poi dovrà essere rinnovato ogni anno), inizia con una rapida sezione di domande per verificare se il « tema della creazione » sia presente nelle celebrazioni, nelle omelie e nelle catechesi. Questo è poco per qualificare lo strumento come cristiano; si tratta piuttosto di uno strumento laico applicato ai gruppi cristiani. Si pone quindi la questione dell’esatta qualificazione di questa conversione finalizzata (ecologica).

Tanto più che, nella parte successiva, si sofferma a lungo sugli edifici (dall’isolamento energetico alla carta riciclata per i servizi igienici, dal compostaggio dei rifiuti fino al parcheggio delle biciclette), sul terreno (c’è un orto? si coltivano frutta e ortaggi?), all’impegno locale (proiezione di film, incontri con i rappresentanti eletti nelle amministrazioni locali, covetturaggio, menù  vegetariani o vegani, alimentazione a chilometro zero) e globale (commercio equo e solidale, campagna di sacrificio quaresimale della CCFD – Terre solidaire), agli stili di vita (le famose R: ridurre, riutilizzare, riparare, riciclare, risparmio etico personale e comunitario, monitoraggio ambientale con impronta di carbonio e « famiglie di energia positiva », prevenzione di produzione eccessiva di e-mail e di uso del web a causa del costo energetico dell’archiviazione dei dati informatici). Lo strumento di gestione di questo marchio, nella sua dinamica, sembra essere uno strumento di conversione all’ecologia delle comunità cristiane. E questo forse è il significato principale, essenzialmente pratico, della conversione ecologica dove l’aggettivo risulta avere la precedenza.

In ogni epoca è sicuramente un bene scoprire e approfondire atteggiamenti come la sobrietà, la condivisione, la priorità dell’essere e delle relazioni rispetto all’avere, e così via. La tematica ecologica può essere, senza difficoltà, un’opportunità per questo tipo di approfondimento. Tuttavia, tali virtù non sono strettamente ecologiche. Esse hanno infatti un antico e sostanziale ancoraggio nel cristianesimo, sono una questione di ascetismo e di carità. C’è un’ambiguità imbarazzante nel non distinguerle dal contesto o dalle circostanze della loro promozione attuale. Ambiguità quando, ad esempio, nel discorso del vescovo de Moulins-Beaufort, il quale non fa altro che riutilizzare un’espressione ormai resa quasi sacra, si parla di « felice sobrietà ». Né il sostantivo né l’aggettivo pongono un problema, al contrario, ma non si può non considerare il fatto che il mettere insieme la felice sobrietà, porta con sé le idee di Pierre Rahbi, il contadino-filosofo di origine algerina, pensatore dell’agroecologia, che l’ha resa popolare se non l’ha addirittura creata: neoruralismo e ritorno alla terra, decrescita, anti-globalismo – con cui si può essere o meno d’accordo. Dovremo tornare su questo riutilizzo di concetti che vengono da contesti lontani…

Il peccato ecologico

Ma la dinamica ecologica attuale della Chiesa, pur essendo pratica anche se talvolta in modo piuttosto piatto, è comunque parzialmente intrisa di uno stato d’animo problematico. Merita di essere citata a questo proposito una delle domande di questa « ecodiagnosi » (D22, alla quale si deve rispondere sì, no o « non so ancora »), peraltro persa in mezzo a proposizioni tecniche o più pratiche,  « La nostra comunità presenta a Dio nella preghiera le nostre mancanze nei confronti della creazione ferita e gli chiede di continuare attraverso di noi il cammino di liberazione verso la « terra promessa » ».

L’uomo risulta in una condizione di colpa in relazione ad una visione personificata della creazione. Questa responsabilizzazione di « sorella terra » ci aveva colpito quando abbiamo letto la Laudato Si’. Seguendo questa logica, il documento finale del Sinodo sull’Amazzonia ha recentemente proposto di definire il « peccato ecologico » come « un’azione o un’omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l’ambiente » (n. 82), idea poi ripresa da Francesco : « Stiamo pensando di introdurre nel catechismo della Chiesa cattolica – ha annunciato – il peccato ecologico, il peccato contro la casa comune »; e anche usare il termine « ecocidio » (Discorso ai partecipanti al Congresso mondiale dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, 15 novembre 2019).

Giovanni Paolo II, che sembra essere stato il primo dei Papi ad usare l’espressione « conversione ecologica » (Udienza del 17 gennaio 2001), parlava certamente di peccato, ma di un peccato contro Dio, dato che l’uomo delle società moderne, in quanto uomo empio che ignora la sapienza e la gloria divina manifesta nella creazione e rivelata nella Sacra Scrittura, abusa della gestione affidatagli e tradisce così la regalità divina che ne è la fonte. Ciò è molto in linea con la teologia classica della creazione, creata per l’uomo, che la sottomette e la domina (cfr Gn 1, 28).

All’inizio dell’enciclica c’è un’enfasi diversa: « Per questo motivo tra i poveri più abbandonati e maltrattati, la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22) »; poi quando viene avanzata questa opinione, tratta da Teilhard de Chardin: « Il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto, fulcro della maturazione universale (…)….] Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto » (n. 83). Questo ha permesso al filosofo Fabien Revol, durante l’assemblea dei vescovi di cui abbiamo parlato, di affermare: « Dobbiamo riscoprire il senso dei valori propri e intrinseci delle creature. Non sono stati creati al servizio degli esseri umani. Hanno una loro propria dignità. »

Sintonizzarsi con le idee del mondo

Dall’approssimazione ad un vero e proprio slittamento,  durante il sinodo sull’Amazzonia la teologia della creazione ha potuto essere associata a pensieri animisti: chi non ha sentito parlare della Pachamama? Nei paesi occidentali si manifesta con pensieri olistici, gnostici, quelli dell’ecologia radicale (deep Ecology). Tra la Creazione, sorella della nostra madre Terra (san Francesco d’Assisi) e la dea madre Gaia si pone allora un’uguaglianza o una somiglianza. La natura non solo acquista piena autonomia, ma l’uomo diventa l’imputato, è il colpevole, non perché usi impropriamente i beni, ma per definizione. Se il pensiero è radicale, si assume come tale e quindi rimane marginale, ma acquista comunque influenza: gli attacchi violenti contro i macellai o la denuncia delle nascite, trovano sempre orecchie compiacenti. Più silenziosamente, si stabilisce una forma di consenso sulla colpa a priori dell’uomo contro una realtà autonoma innocente, la natura.

Il tema della teologia della creazione, merita però una riflessione filosofica e teologica conseguente: esso riguarda anche le virtù morali, e persino un tipo di misticismo (alla maniera, ad esempio, di San Bonaventura che traduce l’esperienza francescana nello schema del triplo percorso purificatore, illuminante e unitivo). Ma così com’è trattata oggi, riguarda anche la storia delle idee e, più precisamente, ci invita a chiederci: l’accento posto sull’ecologia nel discorso della Chiesa non assomiglia ad altre riprese di idee mondane, anche alla moda, in un desiderio di riavvicinamento, di dialogo? Così Giovanni Paolo II, all’inizio del suo pontificato, ha cercato di dimostrare che i diritti umani erano parte del patrimonio della Chiesa e che la loro vera fonte era il Vangelo: la Chiesa, in dialogo con il mondo, poteva dare nuovo vigore a ciò che con il mondo aveva in comune. All’inizio, nella prima metà del XX secolo, molte personalità e organizzazioni, tra cui le più emblematiche sono state i movimenti dell’Azione cattolica e i preti operai, hanno accolto la mano tesa dei marxisti, e non solo in campo pratico. Forse dovremmo anche tornare al Ralliement à la République (Riavvicinamento alla Terza Repubblica) imposto da Leone XIII ai cattolici francesi.

Gli accenti erano certamente diversi. Ma questi tentativi non avevano forse in comune un’illusione: che una vicinanza semantica e una possibile collaborazione pratica potessero portare a una convergenza di pensieri, a un’unità di mente e di cuore che evangelizzasse i non credenti e pacificasse le relazioni sociali? Leone XIII si auto ammonì, per così dire, nelle sue encicliche anti-liberali; Madeleine Delbrêl fu tra coloro che promossero la possibilità di un’unione benefica con i comunisti. Non ci sono voluti gli ultimi anni, con i cambiamenti sociali legalizzati, perché si aprissero gli ultimi occhi chiusi sull’incompatibilità del Vangelo con l’ideologia dei diritti umani?

Siamo certi di poter immaginare che sarà diverso, in termini di pensiero, conversione a Cristo e pace, nel caso del movimento attuale?

Padre Jean-Marie Perrot