28/01/2020

Rinunce a cascata sui diritti della Chiesa

Par l'abbé Claude Barthe

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Le autorità ecclesiastiche passano di rinuncia in rinuncia sotto la pressione costante dovuta agli scandali relativi a questioni morali. Questo fatto ha stimolato Padre Giovanni Scalese a pubblicare sulla rivista Il Timone di maggio 2019 un articolo dal titolo: « Una giustizia ecclesiastica a rimorchio di quella civile ». L’autore sostiene che si ha l’impressione che la giustizia ecclesiastica si « appiattisca » davanti alla giustizia civile su due livelli: Da una parte, adottando i suoi criteri di giudizio, dall’altra, affidandole la gestione dei casi di abuso. Non ci si rende conto che, così facendo, si rischia di perdere di vista la specificità del diritto canonico, per il quale l’abuso dei minori è solo un’aggravante del peccato esterno contra sextum, che per un religioso costituisce sempre un reato.

Nel numero 8 di Res Novae dell’aprile 2019, abbiamo trattato anche « L’abdicazione della sovranità della Chiesa davanti allo Stato moderno e ai suoi tribunali »: La vera colpa delle autorità ecclesiastiche negli scandali morali che alimentano le cronache non è certo quella di non aver denunciato il clero sospettato alla giustizia civile, ma quella di non averlo giudicato nei tribunali ecclesiastici, e, in caso di colpevolezza, di non averli condannati lasciando però poi che la giustizia dello Stato facesse il suo corso. Di fatto, i tribunali ecclesiastici oggi si occupano praticamente soltanto delle richieste di dichiarazione di nullità del matrimonio. 

In quel numero di Res Novae, abbiamo raccontato che, anche nei processi per la dichiarazione di nullità, la giustizia canonica, in Francia come in altri Paesi, segue ormai la giustizia civile, chiedendo scandalosamente che i coniugi interessati abbiano già ottenuto il divorzio civile, e che, in caso contrario, facciano in modo di ottenerlo prima di agire davanti all’autorità ecclesiastica.

Abbiamo sottolineato che la Santa Sede non solo non ha mai in alcun modo rivendicato il suo inalienabile diritto di giudicare, condannare o scagionare George Pell e Philippe Barbarin, cardinali della Chiesa romana, che a vario titolo sono stati coinvolti in scandali di pedofilia, ma che ha addirittura dichiarato di essere in rispettosa attesa del verdetto della giustizia delle autorità di quegli Stati per trattare il loro caso. Si è giunti addirittura a far dichiarare alla Sala Stampa vaticana: « Ribadiamo il massimo rispetto per le autorità giudiziarie australiane. In nome di questo rispetto, attendiamo ora l’esito del processo di appello”.

Aggiungiamo che nel novembre 2018 la Conferenza episcopale francese, colpita dagli scandali debitamente orchestrati, ha deciso di creare una Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa, con l’incarico di far luce sull’aggressione sessuale, lo sfruttamento o l’abuso di minori, in qualsiasi forma, commessi da sacerdoti e religiosi a partire dagli anni Cinquanta. La Commissione è guidata da un alto funzionario, Jean-Marc Sauvé. Si occupa essenzialmente di capire come le autorità abbiano trattato questi casi. 

Tale organismo, una sorta di commissione d’inchiesta ma senza alcun mandato giudiziario, ha immediatamente lanciato un appello per le testimonianze di persone che ritenevano di essere state vittime di questo tipo di abusi negli ultimi 70 anni. L’appello a testimoniare non riguardava reati che erano stati processati e i cui autori erano stati giudicati colpevoli al termine di un processo – civile o ecclesiastico – ma casi che non erano mai stati portati davanti a nessun tribunale. In altre parole, la Commissione giudicherà sovranamente la veridicità delle accuse portate alla sua attenzione, senza essere soggetta ad alcun procedimento, senza tener conto di alcun termine di prescrizione, senza ascoltare la difesa degli imputati, alcuni dei quali sicuramente deceduti, e, beninteso, in ultima istanza deciderà sulla realtà dei fatti denunciati dalle segnalazioni, poiché non è previsto alcun tipo di ricorso contro questa non-giurisdizione – che-giudica. Tutto questo, in un clima generale di « equilibrio » in cui la vendetta pubblica e mediatica si sostituisce e declassa i dibattiti in aula. Con il pretesto della trasparenza sulle mancanze che si sono verificate in seno alla Chiesa, vengono così disattesi, non solo il diritto proprio della Chiesa, ma anche i principi del diritto penale e persino del diritto naturale.

Per aggiungere un’ulteriore tassello a questo enorme caos giuridico, il 9 novembre 2019, i vescovi di Francia hanno votato il principio del « risarcimento forfettario » per le vittime di abusi sessuali perpetrati dai sacerdoti quando questi erano minorenni. Ma per quale motivo tutte le diocesi di Francia, e dunque tutti i donatori cattolici, dovrebbero essere obbligati a pagare un risarcimento al posto dei colpevoli di questi crimini? E, ancor di più, a vittime non riconosciute come tali dalla giustizia, ma solo dalla Commissione Sauvé?

Nell’articolo seguente, padre Alexis Campo dà i dettagli dello strano Protocollo firmato tra l’arcivescovo di Parigi e la Procura della Repubblica di Parigi il 5 settembre 2019. Si tratta del primo di una serie: Grenoble, Gap e Valence, ecc. Il protocollo parigino prevede che il vescovo inoltri al pubblico ministero le denunce relative ai reati sessuali, se appaiono verosimili, anche prima di una vera e propria indagine. Di fatto, le diocesi abbandonano al pubblico ministero ciò che nel diritto canonico si chiama « indagine preliminare », che corrisponde grosso modo all’indagine di polizia giudiziaria e all’indagine nel diritto penale francese.

A tutto ciò si aggiunge la sorprendente decisione di papa Francesco che, in un rescritto pubblicato il 17 dicembre 2109, abolisce il segreto pontificio nei casi di violenza sessuale e di abuso di minori da parte di membri del clero. Per questo rescritto, il Consiglio per gli Atti legislativi non è stato nemmeno consultato: in realtà, più che dell’abolizione del segreto pontificio, che nel suo scopo primario riguarda il governo generale della Chiesa, si tratta dell’abolizione di un segreto comunemente noto come un segreto d’ufficio. In concreto, se l’autorità religiosa è in possesso di informazioni sugli ecclesiastici, riguardanti l’acquisizione, il possesso o anche la divulgazione di immagini e testi pornografici di giovani di età inferiore ai 18 anni, e se è noto che questi ecclesiastici abbiano commesso altri reati di questo tipo, il segreto può essere svelato. Non ci sarà un obbligo di comunicazione, ma una sorta di collaborazione con le autorità civili che la richiedano. Il peso di questo annuncio, come si dice, supera la sua stessa reale portata, ma il messaggio trasmesso è disastroso in termini di abbandono dei diritti della Chiesa. Non ha – dobbiamo ripeterlo? – i suoi tribunali diocesani e romani per giudicare il proprio clero materia?

Aggiungiamo che, nello stesso ordine di sottomissione a una « servitù volontaria », la Conferenza episcopale francese, prendendo atto della legge del 2013 che permette alle coppie omoparentali di adottare, ha appena inviato a tutte le diocesi del Paese un nuovo modulo per la stesura dei certificati di battesimo, che non indica più che il battezzato è « figlio, figlia di…, e di… », ma indica solo, per tutti i battezzati, chiunque essi siano, i « genitori » di colui che riceve il battesimo, senza altre precisazioni (vedi il nostro articolo Res Novæ del 23 dicembre: « Gli atti battesimali non menzioneranno più la paternità e la maternità »).