La verginità di Maria forma della vita cristiana, rimedio all’“eresia dell’informe”
Questo articolo è ispirato a un libro già edito in italiano e in via di pubblicazione nella versione francese, intitolato Semper Virgo. La Verginità di Maria come forma, scritto da padre Serafino M. Lanzetta, teologo, professore alla facoltà di Teologia di Lugano e autore di numerose opere in ambito mariologico ed ecclesiologico.
La verginità di Maria è un filo rosso che tiene insieme tutte le maglie della Fede cristiana, e forma un tutt’uno con il dogma centrale della Fede, l’Incarnazione del Verbo, tanto che, se si nega la verginità di Maria, cade sotto la sferza anche l’Incarnazione. Nel quadro di una più generale inclinazione ad accantonare la sana dottrina insegnata da sempre dalla Chiesa, si avverte di recente – come del resto è già successo nell’antichità – una tendenza a parlare del mistero di Maria in una maniera nuova, o “aggiornata”, che finisce per trasformarsi in un affossamento del mistero stesso, accompagnato dalla perdita di valore della verginità e della castità.
Oggi viene rimesso in discussione il mistero del celibato ecclesiastico, con il pretesto che non si tratta di un dogma definito, bensì di un mero elemento disciplinare annesso al Sacerdozio. Questa richiesta, che ultimamente tenta di far leva sui gravi scandali di pedofilia, dimentica un dato essenziale: il celibato non nasce come divieto di sposarsi, ma quale mezzo di continenza perfetta atta al raggiungimento del Regno dei cieli. Manipolarne l’identità facendolo apparire come una pura intransigenza disciplinare di una Chiesa medioevale, non solo non risolve il problema della penuria di vocazioni, ma palesa un vuoto di senso che mina la Chiesa oggi – lo stesso vuoto che conduce peraltro agli abusi sessuali nel clero – prodotto dall’aver privato di valore la castità e la purezza, eco della verginità di Maria.
Al piano di rivedere il celibato si accompagna un’altra manovra volta, questa, a sminuire l’indissolubilità del matrimonio. Dare la Comunione ai divorziati risposati presuppone tale sminuimento, presentato per di più quale atto di misericordia pastorale. Ma tale revisionismo era stato preceduto da un declassamento della vita religiosa a mera opzione di vita cristiana, una tra le tante. Il concetto di perfezione cristiana si è annacquato nel momento in cui si è cessato di presentare la vita religiosa come “stato di perfezione”, e ciò ha ripercussioni sul matrimonio stesso.
Tali pruriti di novità e le conseguenti virate teologiche si radicano in una visione riduzionistica e in una lettura esegetico-teologica parziale del mistero di Colei che è madre del cristiano e anche suo modello, in quanto ne è la forma. Solo serbando intatto il mistero della perpetua verginità di Maria avremo occhi sufficientemente puri per contemplare Dio. Se invece lo innacquiamo, presto si appannerà la verità del mistero cristiano stesso, in tutta la sua larghezza e profondità: resteremo nella Chiesa, ma essa diventerà totalmente umana; si arriverà a celare la presenza reale nell’Eucarestia, la quale diventerà mero “pane dei poveri”; il matrimonio, pure apprezzato come ideale a cui conformarsi, resterà ad indicarci, non più che l’uomo e la donna sono fatti l’uno per l’altra indissolubilmente, ma che sono al servizio l’uno dell’altra secondo i tempi e le mode. Tutte queste derive hanno in comune la mancanza di uno sguardo capace di oltrepassare i limiti dell’effimero. Nella Chiesa si è portata a compimento la rivoluzione antropologica, ma si è dimenticata una parte essenziale dell’uomo: l’anima. Rimasta incustodita, l’anima è morta. Disfatta la castità dell’amore, abbiamo smarrito il senso della verità, soprattutto quello della superiorità della verginità rispetto a tutti gli altri stati di vita, e una volta abbandonato questo senso, ogni cosa ineluttabilmente si appiattisce, fino all’annullamento di ogni distinzione.
È indispensabile mantenere integra la verità della verginità immacolata di Maria. La Sua verginità è la forma del Cristianesimo, l’essenza illibata della vita cristiana, ciò che dà l’essere proprio a tutti gli stati di vita, unendoli in una complementarità radicata di una gerarchia all’apice della quale vi è ciò che è più perfetto: la verginità di Cristo e di Maria; poi viene la vocazione religiosa e celibataria nel Sacerdozio e nella vita laicale; poi la vedovanza scelta per amore di Cristo; infine il matrimonio, nel quale si è chiamati a vivere la castità coniugale, eco della verginità spirituale di Maria, mantenendosi fedeli al fine principale delle nozze che è la procreazione, creare per Dio e con Dio. Vi è una gerarchia nella perfezione che s’impernia sulla verginità di Maria. In Maria siamo preservati dai pruriti di novità che annacquano la Fede, i Sacramenti e il mistero della Chiesa, vergine e madre.
Il matrimonio e la verginità possono convenire tra loro se si accordano entrambi alla verginità di Maria, e proprio in virtù di questo legame possono trovare ognuno il proprio carattere distintivo, all’interno di quella gerarchia necessaria per salvaguardare la preminenza di Dio sopra ogni cosa. La verginità di Maria dice all’uomo che quello di verginità/celibato è lo stato di vita più eccellente perché intimamente legato all’eternità di Dio e, contemporaneamente, che il matrimonio non deve in nessun caso essere svilito in quanto offre il fondamento naturale e sacramentale alla sponsalità che cresce e si perfeziona nella misura in cui raggiunge l’unione con Dio.
La verginità di Maria è la “scala” che collega la terra al Cielo, elevandosi al di sopra delle cose umane, portandole a Dio. Tuttavia, questa santa verginità potrà fungere da “scala” che innalza gli uomini solo se la Chiesa la riconoscerà come “forma” della vita cristiana, “specie” più perfetta e principio che dà perfezione all’ente, poiché gli dà l’essere. La Vergine Maria è la forma che struttura l’essere cristiano.
La forma è innanzitutto il principio che determina l’essenza della materia, conferendole la perfezione. Aristotele definisce la forma come causa delle cose e “specie” per eccellenza, in quanto specifica le cose che sono, dando loro la perfezione prima che è, appunto, l’essere. La forma permette alle cose di passare dalla potenza all’atto, ossia da mera possibilità di essere all’atto di esistere. L’esistenza, che è “specie” dell’essere in modo metafisico, è di conseguenza perfezione prima e finale dell’essere. L’essenza di questa forma, in senso aristotelico, può essere analogicamente trasferita alla Beata Vergine Maria, in particolare alla sua verginità come causa iniziale e finale dell’essere cristiano.
La verginità di Maria è la forma cristiana in quanto agisce come perfezione strutturale della vita cristiana. È la perfezione originaria e definitiva, l’inizio ma anche il compimento del Regno dei cieli: l’inizio, in quanto la verginità perpetua di Maria è espressione del suo essere creazione immacolata di Dio senza macchia e senza corruzione, e creazione immacolata per Dio, affinché Egli possa incarnarsi e abitare in mezzo a noi; il compimento perché segna il modo di essere in Dio per sempre, in un’eternità di contemplazione celeste. È la definitività dell’amore che non si dilegua, non cambia, non passa.
Inoltre, la verginità di Santa Maria è la forma del Cristianesimo in quanto è il grembo materno che plasma tutte le vocazioni, dando loro unità e distinzione gerarchica. Si avverte la necessità di una forma, oggi, in un tempo di “eresia dell’informe”, per riprendere l’espressione di Martin Mosebach. Una sorta di anamorfismo regna quando i diversi stati di vita vengono schiacciati sul concetto di perfezione, come se fossero tutti ugualmente perfetti, allorché quello che hanno in comune non è la perfezione, bensì il tendere ad essa. Una tale deviazione dello sviluppo teologico costante produce un anamorfismo cristiano. La verginità di Maria è la forma cristiana poiché essa è “specie” per eccellenza che ci ricorda in ogni epoca storica cos’è il Cristianesimo. Quando un figlio si lascia plasmare dalla madre e accoglie consapevolmente quella forma materna, allora il Cuore di Maria gli si apre e diventa il “già” dei cieli nuovi e della terra nuova che verranno.
La verginità di Maria è la forma che unisce verginità e sponsalità. Essa è il “talamo sponsale” da cui Cristo esce per unire a sé, nel suo corpo preso dalla Vergine, il suo Corpo mistico, la Chiesa. La verginità di Maria partorisce Cristo e così dà forma alla Chiesa. Maria è il tipo delle vergini che restano tali nel corpo e di tutti coloro che devono restare vergini nello spirito. È un concetto caro a sant’Agostino che, in un sermone sul Natale del Signore, parla di Cristo che esce «come sposo dal suo talamo, cioè dal grembo virginale, lasciando illesa la verginità della madre». Il Verbo, unendo a sé la natura umana nel talamo virginale di Maria, si è unito alla Chiesa virginale e casta, affinché ognuno possa avere il cuore incorrotto. Il grembo di Maria prepara la nascita della Chiesa, sposa di Cristo, dove tutte le anime sono promesse all’unico sposo e promettono fedeltà a Cristo. Tutte le anime, membra del corpo di Cristo, partecipano a una castità virginale di cui la Chiesa è ricca in quanto imita la Vergine Maria, diventando, come Lei, vergine per il suo amore esclusivo di Cristo e madre per la sua capacità di generare gli uomini a Dio.
Maria è sposa di Cristo e solo così unisce in modo sponsale la Chiesa a Cristo. San Massimo il Confessore, commentando il mistero dell’Annunciazione, riconduce allo Spirito Santo l’adornamento di Maria come sposa del Signore che si incarna in Lei. Il Santo si rivolge a Maria, ricordandole quanto Le dice l’Angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e di adombrerà» (Lc 1,35), e ciò al fine di «prepararti e adornarti quale sposa degna del Signore, e per santificare sin dall’inizio il tuo santo corpo e l’anima adornati di virtù divine. E immediatamente il tuo immortale sposo e figlio, il quale è la potenza dell’Altissimo, ti adombrerà, poiché Cristo è la potenza di Dio e la sapienza di Dio». Maria unisce verginità e sponsalità, e li riassume nel suo essere una sola cosa con Cristo.
La verginità conduce alla sponsalità dell’amore e questa, a sua volta, nei diversi stati della vita cristiana, deve restare sempre ancorata alla verginità, anche quando è declinata nell’amore matrimoniale. La sponsalità è sempre verginità dell’amore, sia quando si realizza nel celibato sacerdotale, sia quando è vissuta nel matrimonio come castità, ossia come verità dell’amore indissolubile e fecondo. La Vergine Maria è perciò ancora una volta forma della vita cristiana in quanto compendia nel suo essere verginità e sponsalità, e la sponsalità trae la sua verità del rimanere ancorata alla verginità. In Maria la Chiesa vede in un’unità i diversi stati di vita dei suoi figli, riassumendoli in questa sponsalità dell’amore, la quale è tanto più perfetta quanto più prossima a quella di Maria Vergine; in Lei e per Lei, poi, a quella di Cristo stesso.
La verginità di Maria è la forma che unisce verginità e martirio, ossia il dono assoluto di sé, inaugurato dalla verginità e portato a compimento nel martirio. S’intrecciano così purezza e sacrificio, fino a sigillare in un’offerta sacrificale l’atto della somma carità che è l’unione sponsale. Sponsalità e martirio fanno tutt’uno. Ciò emerge, per esempio, nella lode che sant’Ambrogio fa della martire Agnese, quale personaggio emblematico in cui sono condensate la sposa che si avvia al talamo nuziale e la vergine che si affretta al luogo del proprio martirio. Il talamo delle nozze virginali sarà imporporato del sangue di questa piccola agnella di Cristo. Scrive sant’Ambrogio: «Una sposa non si affretterebbe tanto verso il talamo, come la vergine si avvicinò al luogo del supplizio, lieta per la buona riuscita, celere nel passo, con il capo adorno non di trecce, ma di Cristo, coronata non di fiori, ma di virtù. Tutti piangevano, lei era senza lacrime». La verginità e il martirio si saldano nella sponsalità, nella testimonianza suprema di un martirio cruento.
Nella sponsalità d’amore con Cristo, inaugurata e vissuta nella verginità di Maria, tutti nella Chiesa sono chiamati a testimoniare la propria appartenenza a Cristo, divenendo ostia d’amore, sacrificio per Dio e per i fratelli. Potremmo certamente vedere Maria, Virgo et Sponsa, come un exemplum della sponsalità virginale nel martirio, modello della Chiesa intera. Ciò presuppone il discorso su Maria quale vera cooperatrice della nostra salvezza, nuova Eva accanto a Cristo nuovo Adamo, offerente sul Calvario, icona e Regina dei martiri. In una parola, Maria quale Co-redentrice del genere umano.
In Maria e nel suo essere sposa virginale di Cristo, abbiamo anche l’inizio della suprema testimonianza al Signore nel martirio. Il primo e più cruento martirio l’ha vissuto proprio Lei, quando ritta ai piedi della Croce immolava il Figlio per tutti noi e con Lui si immolava per la nostra salvezza, martire d’amore e di dolore. La vita cristiana porterà sempre inscritto questo indissolubile binomio: sponsalità virginale e martiriale quale supremo olocausto dell’amore.
Una forma fu impressa al Cristianesimo sin dal suo sbocciare nel mondo con la nascita del Signore, e quella forma fu subito ravvisabile nel grembo virginale e sacrificale di Maria. Un talamo sponsale. In Lei, sponsalità diventa oblatività. La vita religiosa può di nuovo tornare ad essere se stessa se riscopre la preziosità di una spiritualità oblativa che pone al centro il dono di sé fino al sacrificio, fino al martirio; mentre il matrimonio può contare sull’indissolubilità dell’amore casto e fecondo.
Se Maria viene di rimessa al centro, tutto può rifiorire, perché ritornerà la forma propria di tutte le cose. Ella è il tipo originale che bisogna preservare per smettere di pagare un costo alto di un silente inevitabile sprofondamento nell’amorfismo dei principî e della vita, difforme e sacrilego. Bisogna fare tutto il possibile per recuperare la forma.