01/11/2021

L’interminabile rivoluzione conciliare

Par l'abbé Claude Barthe

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Questo è il titolo della conclusione, estremamente fitta, dell’ultimo libro scritto dallo storico Yvon Tranvouez, L’ivresse et le vertige. Vatican II, le moment 68 et la crise catholique [L’ebbrezza e la vertigine. Vaticano II, il momento 68 e la crisi cattolica][1]. Lo storico considera il Vaticano II come un evento globale. Assimilandolo alla Rivoluzione, egli pone implicitamente la questione, riferita al Concilio, relativa al dibattito per il bicentenario della Rivoluzione nel 1989: questa «rivoluzione conciliare» è o non è compiuta? Compiuta, o per una vittoria definitiva (come la Rivoluzione con l’avvento del governo Ferry nel 1880], o per una restaurazione, che chiuda la parentesi rappresentata dall’evento del Vaticano II. Essa però non si è compiuta in nessuno dei due sensi.

I capitoli del libro d’Yvon Tranvouez trattano temi come la crisi cattolica nella terra della Cristianità (la Bretagna) durante i dieci anni di liquidazione (1965-1975) o ancora lo choc provocato dalle scienze umane sul clero (quando esso deteneva la cultura ed aveva il tempo per interessarsene) e consegnano anche due esempi di bravura, per così dire, costituiti da due studi sulla psicologia ed il percorso compiuto da Bernard Besret, il priore esplosivo di Boquen, che ha «fatto» i testi conciliari (la vita religiosa) prima di tradurli in «spirito», e dal gesuita Michel de Certeau, «personaggio dello spettacolo sulla scena cattolica di sinistra», tanto difficile da comprendere quanto sorprendentemente perspicace circa la profondità della crisi religiosa aperta dopo il Concilio: questi aveva notato, tra l’altro, già nel 1976, come la vicenda Lefebvre avesse stabilito un nuovo rapporto di forze (ciò che sorprendentemente il recente motu proprio ha appena sottolineato).

Yvon Tranvouez, un po’ come il collega Guillaume Cuchet nel suo libro Comment notre monde a cessé d’être chrétien. Anatomie d’un effondrement [Come il nostro mondo ha cessato d’essere cristiano. Anatomia di un crollo][2] – e nella sua opera recidiva, Le catholicisme a-t-il encore de l’avenir en France [Il cattolicesimo ha ancora un avvenire in Francia][3], esprime un giudizio alla fine estremamente critico circa il discorso che l’istituzione ecclesiastica tiene, anche a sé stessa, in merito alla sua storia recente.

Una storia interamente legata al Vaticano II. Però il Vaticano II è divenuto un concilio molto datato. Ha voluto, negli anni ’60, rendere il messaggio cristiano percepibile dall’America di Kennedy e rispondere a quelle che riteneva essere le sue domande. Ma il mondo da allora è completamente cambiato ed, in ogni caso, non pone più domande alla Chiesa (ammesso che le ponesse davvero allora: suggeriva piuttosto un tacito consenso, che ormai esige brutalmente). Di fatto, è ciò che Y. Tranvouez definisce graziosamente «emigrazione integrista», impossibile da riassorbire, ciò che spiega principalmente il «rimaneggiamento» del Vaticano II. Secondo noi, si tratta di cattiva coscienza, ingenerante un discorso perpetuo di giustificazione e di celebrazione.

«La ruminazione del Vaticano II è tanto più sorprendente in quanto è, qualora vi si voglia ben riflettere, ad un tempo equivoca e inutile», scrive Yvon Tranvouez. Ruminazione equivoca, perché fittizia: «la riattivazione artificiale del mito conciliare» di una Chiesa unita in una riforma interna è illusoria ad intra, come aveva notato Michel de Certeau a proposito della vicenda Lefebvre, essendo del resto la Chiesa divenuta più che mai polifonica, ed illusoria anche ad extra, col mondo, da quando l’ottimismo degli anni ’60 è svanito. Ruminazione inutile, poiché ormai tanto i conservatori quanto i progressisti si richiamano al Vaticano II.

Certo, il problema maggiore è oggi quello del «divorzio tra la mentalità contemporanea ed il linguaggio cristiano» (potrebbe essere altrimenti?), ma il linguaggio rinnovato dal Concilio, essendo ogni mistero svanito assieme al latino (e ad una predicazione appiattita al massimo), è ancor più incomprensibile – ed evidentemente meno interessante per «gli uomini d’oggi», diremmo noi.

Interessante è il parallelo che lo storico fa tra la storia della Rivoluzione francese e quella del Vaticano II: l’apertura di quest’ultimo, nel 1962, assomiglia allo svolgimento degli Stati generali, con dei documenti transazionali tra antico e nuovo, che non sono adatti alla situazione della Chiesa creata dalla deflagrazione conciliare più di quanto la costituzione del 1791 fosse adatta alla Francia rivoluzionaria; il maggio ’68 è come l’accelerazione, che provocò sul processo rivoluzionario la guerra nel 1792; ma, come la Rivoluzione, già il Concilio aveva «sbandato», ciò che denunciava Jacques Maritain ne Il contadino della Garonna, nel 1966; l’elezione nel 1978 di Giovanni Paolo II come un 18 Brumaio. Con un seguito: Benedetto XVI, nel 2005, ed il suo «sbarramento» (molto relativo); poi Francesco, nel 2013, ed il suo tentativo di remake del Vaticano II (che genererà un Sinodo, che parla di sinodalità di una Chiesa in via di sinodalizzazione).

«Oggi il Vaticano II, trasformato in oggetto di celebrazione, è divenuto nella migliore delle ipotesi vintage, nella peggiore kitsch».

Don Claude Barthe


[1] Desclée de Brouwer, agosto 2011.
[2] Seuil, 2018.
[3] Seuil, settembre 2021.