28/10/2020

Ricostruire la catechesi Prima parte – Verifica dello stato di cose: il contenuto attuale

Par l'abbé Jean-Marie Perrot

Français, English

La catechesi è uno dei settori della vita della Chiesa, in cui il disordine di alcuni dei protagonisti si mescola all’insoddisfazione di altri, sullo sfondo di una disaffezione pressoché generalizzata. Sacerdoti e catechisti faticano a trovare formule, metodi e percorsi, che non soltanto portino frutti nella vita cristiana (quanti sono i bambini catechizzati, che partecipano alla Messa domenicale? Quanti sono quelli che «restano» una volta compiuti i riti di passaggio?), ma che semplicemente limitino l’emorragia continua nel numero di bambini catechizzati. Quanto ai genitori, quando ripongono attenzione al fatto che il catechismo debba istruire anche sulle verità di fede, giungono talvolta a chiedersi se non fosse meglio insegnar loro stessi ai propri figli; a meno che non trovino un altro gruppo, al di fuori delle strutture parrocchiali o diocesane, con quel gusto dal sapore amaro di porsi ai margini… o di esservi messi…

Strutture esplose

Stato, quasi sempre di dispersione, molto spesso di dissoluzione. Immaginiamo una città di media importanza: vi si trova la catechesi nelle parrocchie e nelle scuole cattoliche, dal che si potrebbe credere che i percorsi approvati dal vescovo qui siano seguiti. Tuttavia, vi è spesso una grande autonomia o lassismo, senza che i responsabili ricevano necessariamente alcuna indicazione in merito, non si esercita su di loro alcun controllo. Nel bene e nel male… Una parte dei fanciulli di questa città potrà andare al catechismo proposto da una comunità religiosa o assicurato dal sacerdote di una comunità tradizionale locale, anche qualora la famiglia non si recasse lì alla Messa domenicale. Il fatto che il catechismo venga garantito da un prete, da un religioso o da una religiosa ha giocato un ruolo importante in tale scelta. Altri fanciulli ancora si aggregheranno a gruppi, iniziati come gruppi di preghiera, ma tali da assicurare un’autentica formazione nel corso delle loro riunioni ed attraverso le loro riviste, talvolta con una serietà quasi scolastica. Infine, alcuni seguiranno il catechismo a casa, con i genitori che utilizzano testi classici, ora rieditati o disponibili su internet, oppure appoggiandosi ad un corso per corrispondenza, eventualmente avvalendosi delle correzioni di un prete o di una suora. Queste famiglie potranno anche, con uno sforzo di condivisione, organizzarsi e creare una realtà parallela, che si chiamerà ad esempio «catechismi familiari». Lo si vede: la differenza è grande. Nel mondo rurale, il ventaglio di proposte è più ridotto, a meno che accettare di percorrere chilometri, scelta che alcune famiglie compiono. Alcune unità scout integrano un corso di catechismo all’interno delle proprie attività del fine-settimana, attirando ragazzi e famiglie nel giro di diverse decine di chilometri tutt’attorno. Non scordiamoci di internet: l’isolamento geografico ha da tempo stimolato l’utilizzo dell’informatica in questo ambito, ad integrazione o al posto delle riviste cartacee, cui si poteva essere abbonati. Il recente isolamento, dovuto al COVID-19, ha considerevolmente ampliato il fenomeno e creato un’offerta quasi eccessiva, molti parroci o comunità utilizzano chi il proprio cellulare, chi attrezzature più sofisticate, per filmare i corsi di catechismo, resi impraticabili nella modalità abituale. Queste esperienze dureranno? Non è certo, poiché richiedono molto tempo; tuttavia, degli archivi ora esistono, a disposizione di tutti.
Prima di rappresentare delle opportunità, eventualmente offerte, sono prima di tutto segni di un disordine, che giunge sino a situazioni grottescamente assurde come quella di una classe di prima media di un collegio cattolico, in cui i due soli ragazzi, che non alzavano la mano, quando si chiedeva chi avesse intenzione di fare la propria professione di fede, erano proprio i due soli, che andavano a Messa la domenica… perché, oltre al corso seguito nell’istituto, frequentavano un altro corso di catechismo altrove ed è qui che avrebbe avuto luogo per loro questa cerimonia. Oppure come questa affermazione, che si vuol ritenere ingenua, di un giovane vicario, al quale i genitori avevano confidato d’essere turbati dalla noia persistente, manifestata a tu per tu dai loro figli, circa il catechismo parrocchiale, catechismo che loro giudicavano limitato, ripetitivo, «sciocco»: «La parrocchia non può fare nulla per i vostri figli»…

Un contenuto esploso

Se la nuova catechesi ha senza dubbio contribuito alla decristianizzazione delle società occidentali, essa ne è anche vittima: ad esempio, quale insegnamento, quale percorso proporre a ragazzi che, a casa, non ricevono, né vivono nulla di cristiano: preghiera quotidiana, riferimenti culturali, messa domenicale? Per molti genitori, il catechismo parrocchiale serve come luogo d’iniziazione a valori morali alquanto vaghi e la scuola cattolica viene scelta in base alla qualità dell’istruzione, alla disciplina o all’appartenenza sociale di coloro che la frequentano. Si è tentati pertanto di adeguarsi ad una simile richiesta, per timore che anche questi ragazzi spariscano, su pressione dei genitori, che hanno la forza del numero o del denaro, poiché il compito appare insormontabile. Ed ecco che il circolo vizioso si chiude.
Il catechismo è stato uno degli obiettivi nel tentativo wojtylo-ratzingeriano di riprendere in mano la situazione tra il 1980 ed il 2013. In una celebre e strepitosa conferenza tenuta a Lione e poi a Parigi nel gennaio 1983, il card. Ratzinger, se da una parte aveva evocato i motivi di crisi del catechismo legati alla società contemporanea, dall’altra aveva anche denunciato «un primo e grave errore, quello di sopprimere il catechismo e di dichiarare “superato” il suo stesso genere» e lanciato alla fine questo appello: «È necessario osar presentare il catechismo come un catechismo». A cosa si era allora mirato? Da un lato, l’ampollosità delle questioni pedagogiche – la forma che prende il posto del contenuto – e commenti umani in cui si soffocava la Parola di Dio e che ne riducevano la portata a prospettive umane, psicologiche e sociologiche di circostanza. Dall’altro lato, un approccio immediato e narrativo della Sacra Scrittura, in cui l’esperienza – quella del personaggio biblico, quella del lettore – domina: «Se, in passato, la Bibbia non rientrava nell’insegnamento della fede che sotto forma di dottrina della Chiesa, adesso si cerca di giungere al Cristianesimo attraverso un dialogo diretto tra l’esperienza attuale e la parola biblica». Mescolata ad una tentazione pedagogica, essa conduce a dimenticare o almeno a trascurare la mediazione ecclesiale, la Tradizione, il dogma, l’obiettività razionale della rivelazione e della fede.
Questa conferenza giungeva dopo l’Esortazione apostolica Catechesi tradendae, scritta da Giovanni Paolo II nel 1979, cui sarebbe seguito nel 1997 il Direttorio generale per la catechesi, pubblicato dalla Congregazione per il Clero.
Questi documenti hanno avuto qualche effetto? L’ultimo ha conosciuto, agli inizi del 2020, una nuova stesura, sotto la guida del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, cui sono state trasferite le competenze in materia. Certo, nella continuità dei documenti precedenti, afferma: «La catechesi d’iniziazione cristiana rappresenta una formazione di base, essenziale, organica, sistematica ed integrale della fede». Ma queste buone intenzioni sono inserite in un quadro che le rende in ampia misura sterili, quadro di cui si vogliono evidenziare alcuni tratti:

1°/La riluttanza verso la parte dogmatica del catechismo: In sintonia col Direttorio del 1977, quello del 2020 insiste sul catecumenato come modello della catechesi, con un forte primato assegnato all’esperienza ed alla sua maturazione. Ma, comparando il secondo al primo, il riferimento all’apprendimento appare ridotto. Non vi si ritrova più quanto presentava il primo: «La catechesi fa parte della “Memoria” della Chiesa, che mantiene viva in mezzo a noi la presenza del Signore. L’esercizio della memoria è dunque un aspetto costitutivo della pedagogia della fede fin dai primi tempi del Cristianesimo. (…) L’apprendimento delle formule della fede nella catechesi e la loro professione rientrano nell’ambito dell’esercizio tradizionale della “traditio” e della “redditio”; è così che la trasmissione della fede nella catechesi (traditio) corrisponde alla risposta del soggetto, prima nel percorso catechistico, poi nella vita (redditio)» (nn. 154 e 155). C’è una certa reticenza nel distinguere ed onorare la parte razionale e dogmatica della catechesi in quanto tale, che non viene pertanto negata, bensì sistematicamente assimilata all’esperienza: «Queste caratteristiche della catechesi d’iniziazione si esprimono in maniera esemplare nella sintesi della fede già elaborata a partire dalle Scritture (tali quali la triade della fede, della speranza e della carità), poi nella Tradizione (la fede creduta, celebrata, vissuta e pregata). Queste sintesi sono un mezzo per comprendere in maniera armoniosa la vita e la storia, poiché esse annunciano delle posizioni teologiche sempre condensate nel proclamare la fede stessa della Chiesa» (n. 71).

2°/ Non imporre la verità: Nello stesso senso, va evidenziata l’insistenza sul kerygma come elemento centrale dell’annuncio del Vangelo ed, in particolare, della catechesi e non semplicemente come primo (cronologicamente) annuncio. Da cui questo testo, di cui ci si chiede come possa concretamente realizzarsi: «Da questa centralità del kerygma per l’annuncio derivano egualmente alcune caratteristiche della catechesi: “ch’essa esprima l’amore salvifico di Dio, previo all’obbligazione morale e religiosa, ch’essa non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, ch’essa possieda qualche nota di gioia, di stimolo, di vitalità ed un’armoniosa completezza, che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche” (Evangelii gaudium, n. 165). Le caratteristiche che la catechesi, riecheggiando il kerygma, è invitata a valorizzare sono: il carattere della proposta; la qualità narrativa, affettiva ed esistenziale; la dimensione della testimonianza di fede; l’attitudine relazionale; la tonalità salvifica» (n. 59).

3°/ Un laboratorio di dialogo: Infine, nella logica bergogliana, la catechesi, essendo al servizio della nuova evangelizzazione, deve essere «in uscita missionaria», dispiegarsi «sotto il segno della misericordia», essere vissuta «come “laboratorio” di dialogo» (dal n. 49 al n. 54), poiché «essa incontra la vivacità e la complessità, il desiderio e la voglia di ricerca, i limiti e talvolta anche gli errori della società e delle culture del mondo contemporaneo». Pertanto, si legge, essa sarà priva di relativismo o di negoziazione sull’identità cristiana (n. 54).


* * *


Tali insistenze hanno come corollario una visione negativa circa i catechismi precedenti, giudicati troppo intellettuali, aridi e scollegati dalla vita. Non era questa pertanto la loro struttura, che a torto è stata ridotta a domande-risposte, né le indicazioni dei vescovi, che le avevano edite, dispiegandone con ampiezza lo sviluppo così come la portata ecclesiale, familiare ed esistenziale.
A ragione, come un modello ed un’esortazione per l’oggi, il card. Ratzinger terminava la sua conferenza del 1983 con una citazione del Catechismo del Concilio di Trento (ad uso dei parroci, primi catechisti del loro gregge): «L’intera finalità della dottrina e dell’insegnamento dev’essere posta nell’amore che non ha mai fine. Perché è ben possibile stabilire quanto si debba credere, sperare e fare; ma soprattutto si deve sempre far sì che si manifesti l’amore di Cristo, affinché tutti comprendano che ogni atto di virtù perfettamente cristiano non ha altra origine che l’amore e non ha altro termine che l’amore». È proprio da qui che si deve partire, da questo intento del catechismo considerato in quanto catechismo.

Don Jean-Marie Perrot

Seconda parte – Proposte concrete