Ricostruire la catechesi
Seconda parte – Proposte concrete
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Ricostruire la catechesi Prima parte
Nelle seguenti proposte, da attuarsi per un futuro a medio termine della Chiesa, partiamo dal presupposto che sia emerso un certo numero di chierici di prim’ordine, specialmente vescovi, animati non soltanto da una fede integra, ma anche da una decisa volontà di ricostruzione.
Il vescovo, primo catechista, ed i suoi preti
Si dà il caso che l’inclusione della catechesi nella struttura gerarchica della Chiesa venga con grande chiarezza enunciato nel nuovo Direttorio, di cui abbiamo parlato e cui ricorreremo per il nostro scopo in ciò che di meglio offre: è una dimensione particolare della missione, di cui «la responsabilità principale» spetta al «Pontefice romano ed [ai] vescovi in comunione con lui» e che consiste nell’«istruire il popolo di Dio sui contenuti della fede e della morale cristiana, così come nel promuovere l’annuncio al mondo intero» (n. 93). Pertanto, il vescovo diocesano può e deve essere «il primo catechista, (…) primo responsabile della catechesi in diocesi» (n. 114). Tale compito comprende, certo, la possibilità di delegare a collaboratori competenti e specialmente dediti a tale incarico; tuttavia, afferma chiaramente il Direttorio, implica anzi tutto che lui stesso presti attenzione, che se ne occupi «direttamente»: è a lui che spetta stabilire le linee principali della catechesi nella sua diocesi, istituire in modo perenne le strutture – persone, mezzi e strumenti -, vigilare sulla qualità dei catechisti (formazione, correttezza dottrinale, esemplarità[i]) così come su quella dei percorsi e dei mezzi pedagogici. Più volte sono emerse le caratteristiche di tale funzione episcopale: attenzione ed anche premura, efficienza, adattamento.
In tale ruolo fondamentale e primario del vescovo diocesano si manifesta una tensione tra libertà d’azione e responsabilità inalienabile nei confronti tanto delle commissioni e degli esperti quanto della conferenza episcopale cui appartiene. Circa quest’ultima, egli porrà cura, è scritto, affinché il suo progetto diocesano sia «in armonia» con quelli della conferenza (n. 117). La formulazione è vaga; rinvia a dei precedenti, ad esempio alla dichiarazione di non-normatività del testo di orientamento pubblicata nel 2005 dalla Conferenza episcopale francese (cfr. il decreto d’approvazione della Congregazione per il Clero posto all’inizio del documento). Più fondamentalmente, si tratta di una conferma dell’indipendenza del vescovo diocesano nei confronti della conferenza, per quanto riguarda l’insegnamento della fede e della morale[ii]. Su tale piano, a quanto pare, è vincolato verosimilmente solo «ai principi ed alle norme emanate dalla Sede apostolica» (n. 114) ovvero al presente Direttorio.
Ciò che qui si afferma vale anche per i preti, avendo loro ricevuto tale missione dal vescovo, specialmente i parroci; mutatis mutandis, poiché, da una parte, essi non hanno la stessa autonomia del vescovo, essendo suoi collaboratori nella realizzazione del progetto catechistico diocesano (li si invita pertanto ad evitare «qualsiasi forma di soggettivismo nell’esercizio del sacro ministero», n. 121); ma, dall’altra, essendo di più sul campo, hanno maggiore presa sui catechisti: essi sono «catechisti dei catechisti», conoscendoli ed accompagnandoli come singoli e come gruppo (n. 122). A monte, essi avranno saputo discernere chi chiamare a tale incarico. Allo stesso modo, essi hanno la possibilità e la responsabilità di seguire tutte le tappe della preparazione e della realizzazione della catechesi nella propria parrocchia (cfr. n. 120).
Riteniamo che non sia eccessivo insistere su tale riaffermazione forte della struttura ecclesiale e gerarchica della catechesi, in quanto, da decenni, in molte diocesi ed in molte parrocchie, essa è oggetto di delega generale a specialisti od a persone di buona volontà saldamente insediatesi, in virtù di lettere d’incarico, che talvolta entrano in conflitto con l’autorità d’insegnamento e di governo dei ministri consacrati, dei parroci e dei cappellani delle scuole in primo luogo. Il primo passo per una ricostruzione della catechesi sembra pertanto che debba essere un atto di volontà, esercitato dalle autorità, affinché siano quel ch’esse devono essere.
La responsabilità di genitori e nonni
Tra gli altri attori della catechesi (diaconi, religiosi, laici), due aspetti meritano d’esser evidenziati, poiché ci sembra che provvedano ad accompagnare il movimento cui la gerarchia ha dato impulso od a sopperire alla sua assenza, qualora per sventura essa dovesse verificarsi.
Il primo aspetto riguarda i genitori: citando Familiaris Consortio, il Direttorio ricorda come l’educazione cristiana sia un compito, cui il sacramento del matrimonio consacra i genitori. Benché possano essere aiutati dalla comunità parrocchiale, scolastica o altro, è comunque indispensabile che essi «superino la mentalità di delega così frequente, in virtù della quale la fede viene riservata agli specialisti», bizzarria in cui la comunità «talvolta» cade (n. 124). I genitori, conclude il paragrafo, sono i «primi catechisti dei loro figli», i cui aiuti naturali (o supplenti, qualora i genitori venissero meno al proprio ruolo per ignoranza o indifferenza, ma lasciassero carta bianca…) sono i padrini, le madrine ed i nonni[iii] (cfr. 125 e 126).
La catechesi, un servizio più che mai essenziale
Il secondo aspetto che attira l’attenzione è l’applicazione alla catechesi del sensus fidei, così caro a papa Francesco e di fatto così tradizionale. Abbiamo appena fatto notare come il sacramento dell’Ordine e quello del matrimonio inquadrino – differentemente, s’intende – in maniera fondamentale e irriducibile all’insegnamento della fede. A tale dimensione ecclesiale se ne aggiunge un’altra, che consegue dai sacramenti del Battesimo e della Cresima. Questi due sacramenti ordinano l’intera Chiesa, ogni battezzato e cresimato alla missione evangelizzatrice ecclesiale. In tale quadro, il sensus fidei di taluni discernerà ch’essi sono chiamati a prendere parte in modo più attivo al ministero specifico della catechesi. E, prosegue il Direttorio, si tratta in effetti di una chiamata divina, la cui conseguenza viene enunciata con forza: «Il catechista è un cristiano, che riceve una chiamata particolare da Dio. Questa chiamata, accolta nella fede, lo rende capace di porsi al servizio della trasmissione della fede e dell’iniziazione alla vita cristiana» (n. 112). Ci si pone chiaramente nell’ambito dei carismi, che, accanto ai sacramenti ed ai ministeri benché in misura minore, partecipano alla santificazione della Chiesa (cfr. ad esempio Lumen Gentium n. 12).
Tale attitudine rappresenta, certamente, un servizio ed è tale da non usurpare i diritti della gerarchia[iv]; la quale, d’altro canto, è invitata a riconoscerla, laddove essa si manifesti o si proponga. Ciò che farà, ad esempio, il parroco nel discernimento delle persone da convocare come catechiste, inserendole così in un contesto istituzionale. Ma significa osare troppo pensare che i genitori stessi possano discernere chi siano, oltre all’ambito familiare ricordato, le persone più adatte ad aiutarle nel compiere la propria missione educativa con i figli? Numerose iniziative funzionano già secondo tale modello: gruppi di preghiera o d’apostolato che divengono anche corsi di catechismo, riviste utilizzate nelle famiglie o dai catechisti nelle parrocchie o nelle scuole, più o meno di nascosto, ecc.
Benché possano esser nate ai margini delle strutture ordinarie, anche tali iniziative possono rappresentare una soluzione accettata, incoraggiata o istituita da un vescovo o da un parroco, almeno temporaneamente, quando la riforma degli organismi catechistici ordinari si riveli un’opera titanica di vasto respiro. Così nel caso del parroco, che assicurava l’insegnamento della fede nel gruppo di coloro che servono alla messa nella sua parrocchia; gruppo, su cui lui aveva presa, benché il mandato dei catechisti pretendesse di ostacolare quanto comunicava a catechismo. Lui stesso moltiplicava le visite estemporanee, durante il tempo liturgico, nelle classi della scuola parrocchiale, by-passando con l’approvazione della direttrice l’équipe della catechesi poco favorevole alla sua presenza.
In definitiva, è a buon diritto verso una convergenza di responsabilità e di azioni gerarchiche, familiari e carismatiche, che il Direttorio invita. Ciò deve prevalere sulle dimensioni legate alla competenza, tanto pregnanti nel movimento catechistico moderno, ed inquadrarle. Il che deve prevalere anche sulla semplice buona volontà, commovente, purtroppo però combinata all’aridità umana delle comunità odierne.
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Ma, se abbiamo citato abbondantemente il nuovo Direttorio in uno spirito di «riforma della riforma», non dimentichiamoci ch’esso approva molti dei tratti caratteristici del movimento catechistico degli ultimi decenni (primato della pedagogia sul contenuto, dei brani biblici sulla dottrina, dell’organizzazione a moduli in parte opzionali o intercambiabili nel loro ordine, ecc.) e, se si sforza di celarne la più grande debolezza ovvero l’assenza di una struttura che garantisca l’integrità e l’integralità della trasmissione della fede, lo fa promuovendone una dinamica d’iniziazione, catecumenale, mistagogica e, adesso, «dialogale»? Per citarlo un’ultima volta, diremo che deve rinascere «un’autentica passione per la catechesi», sostenuta da «un’organizzazione adatta ed efficace» (n. 118).
Don Jean-Marie Perrot
[i] Tale esemplarità, quando non esplicitamente menzionata, si deduce immancabilmente dalla struttura kerygmatica dell’annuncio della fede, data alla catechesi. Il catechista non deve semplicemente insegnare le verità della fede, ma anche testimoniarle con la sua vita, con la sua conversione continua, non foss’altro che per la sua presenza in seno alla comunità parrocchiale. D’altronde, nel Direttorio non si trova alcuna traccia, salvo errore da parte nostra, di una porta aperta, di un incoraggiamento alla partecipazione alla vita della Chiesa rivolto a persone in situazione irregolare per tali attività catechistiche, come si sarebbe potuto temere.
[ii] È un caso particolare di assenza di competenza magisteriale da parte delle conferenze episcopali, sanzionato dal diritto ecclesiastico. Si rammenta che la prima esortazione apostolica di papa Francesco, Evangelii gaudium, aveva suggerito di pensare ad «uno statuto delle conferenze episcopali che le concepisca quale soggetto di attribuzioni concrete, ivi compresa una certa autorità dottrinale autentica» (n. 32). Nulla di concreto è stato fatto in questo senso, fortunatamente; salvo, forse, per l’approvazione data al documento della conferenza episcopale argentina, che ha deciso di adattare la dottrina alla pastorale per le persone con situazione matrimoniale irregolare, così da favorire loro l’accesso ai sacramenti.
[iii] Il riferimento ai nonni è una novità rispetto ai documenti precedenti. Ciò tiene senza alcun dubbio conto del fatto che, essendo trascorse una o due generazioni, è a livello dei nonni che restano ancora alcune basi solide (anche se…), essendo stati i genitori vittime di quello stesso catechismo, ch’essi vorrebbero ora evitare ai loro figli…
[iv] Il Direttorio non affronta questo punto, nondimeno assai reale, benché delicato nella sua attuazione pratica. Perché deve restare il seguente principio: «Fra questi doni eccelle la grazia concessa agli apostoli: alla loro autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (cfr. 1 Cor 14). Lo stesso Spirito, che è per sé medesimo principio di unità nel corpo…» (Lumen Gentium, 7).