Una catechesi sull’impoverimento della fede…
Uno dei risultati ricorrenti nelle indagini sociologiche sul cattolicesimo contemporaneo nei Paesi occidentali – ed, in particolare, in Francia – è quello relativo alla sua frammentazione. Le riunioni pastorali dei sacerdoti di una stessa area, decanato o diocesi, conducono ad un’identica diagnosi, stabilita in modo empirico: la grande maggioranza dei loro parrocchiani vive la propria fede in una cerchia abbastanza ristretta e omogenea, non incontra battezzati al di fuori d’essa, si raggruppa per affinità. Solo le zone rurali conservano concretamente la preminenza della struttura territoriale delle parrocchie, benché sia proprio lì ch’è più allentata, più difficile da mantenere… non tanto, peraltro, per virtù o senso ecclesiale quanto per il fatto di non poter spesso fare altrimenti. Nelle città di qualche importanza, delle logiche elettive presiedono alla costituzione delle comunità, all’interno delle parrocchie o trasversalmente ad esse. Qualunque sia la molteplicità dei motivi, che provocano o rafforzano questa parcellizzazione, l’insieme testimonia un indebolimento della struttura ecclesiale, anche nell’annuncio della fede.
La catechesi ne è un buon esempio. È persino il luogo, in cui la domanda aumenta: in effetti, i percorsi, con le loro particolarità, non riproducono forse la frammentazione segnalata del cattolicesimo e dunque della fede? Qual è, in definitiva, la base comune a tutti?
La riflessione che proponiamo non ha alcuna pretesa d’esser esaustiva rispetto ai percorsi catechistici; i tre qui presentati sono stati scelti sulla base di un solo criterio: li abbiamo ricevuti per utilizzarli – due direttamente, il terzo per delega (continui consigli prodigati ad una catechista). Si può forse dire che abbiano in comune il fatto di collocarci in un cattolicesimo alquanto tradizionale o classico.
Questa riflessione non pretende di proporre un’analisi critica completa di questi percorsi. Più vicina all’ambito considerato, essa si basa sul loro utilizzo da catechisti.
Se c’è una volontà attuata o quanto meno chiaramente enunciata da tutti oggi nella catechesi, è senza dubbio quella di una presentazione completa e integrale. Ma… di che cosa?, ci si domanderà subito dopo questa nostra titubanza: della fede, si pensa di poter rispondere semplicemente. Si sa però come la stessa nozione di fede possa mettere in rilievo approcci sensibilmente diversi, oggi particolarmente pregnanti: proprio gli approcci, che strutturano tali percorsi[1] e che frammentano il panorama cattolico. Spieghiamo.
1° percorso: l’esposizione della dottrina, all’antica
Nelle comunità tradizionali, in cui il manuale assume la forma domanda-risposta, l’accento è posto sulla dottrina e sulla sua presentazione normativa, sempre più dettagliata e precisa, declinando poi in successione gli articoli del Credo, i Comandamenti, le parole del Padre Nostro, i Sacramenti. Al di là della forma pedagogica (domanda-risposta, apprendimento mnemonico), ci si trova sullo stesso piano di ciò che dev’essere «soprattutto» la catechesi, secondo il Catechismo della Chiesa cattolica: «un’educazione della fede dei fanciulli, dei giovani e degli adulti, la quale comprende in special modo un insegnamento della dottrina cristiana, generalmente dato in modo organico e sistematico, al fine di iniziarli alla pienezza della vita cristiana» (n. 5). La catechesi è in qualche modo un calco dello stesso Catechismo e più ancora del Compendio: «L’accento di questo Catechismo è posto sull’esposizione dottrinale» (n. 23).
La maggior parte delle volte, ciò che può contornare tale esposizione dottrinale, affinché raggiunga il proprio scopo – «iniziarli alla pienezza della vita cristiana» -, viene lasciato alle famiglie; o, più esattamente, il catechismo viene considerato come una delega data al sacerdote, talvolta all’istituzione scolastica, per l’insegnamento della dottrina; la vita di preghiera, la morale e la liturgia rimangono invece nell’ambito familiare, responsabilità primaria ed effettiva dei genitori. In definitiva, il catechismo si pensa come un’opera di ausilio alle famiglie cattoliche.
2° percorso: prima di tutto la carità
Tuttavia, il presupposto di un ambiente (familiare e dintorni) cattolico supportante non sempre si realizza, presupposto che consentirebbe di circoscrivere l’attività catechistica all’esposizione della dottrina. Avviene anzi raramente, al di fuori di alcuni circoli ristretti. La catechesi allora si trova (o si pensa) investita di una missione più vasta, un’iniziazione «alla pienezza della vita cristiana», per riprendere i termini già incontrati nel Catechismo, «la maturazione di questa fede, il suo radicamento nella vita e la sua irradiazione attraverso la testimonianza» (n. 23).
Preferendola ad un’esposizione teorica, desideriamo qui semplicemente presentare una situazione, in cui siamo recentemente capitati. Ci è sembrata rappresentativa di quella differente enfasi nell’annuncio della fede, che intendiamo evidenziare.
In un gruppo di catechismo parrocchiale, che l’autore di queste righe ha accettato di animare, col manuale che è stato loro proposto («Dieu nous rassemble» [«Dio ci riunisce»] del percorso «Je veux te connaître» [«Io voglio conoscerti»] della diocesi di Tarbes e Lourdes), la lezione sul Giovedì Santo, centrata sulla lavanda dei piedi, avrebbe dovuto, dal punto di vista dell’insegnamento della dottrina («da ricordare»), concludersi con l’apprendimento di due brevi domande: «Cosa fa Gesù? Secondo quello che Gesù dice, chi è il più grande tra noi?», con le risposte che dovevano essere completate dai bambini. Noi abbiamo preferito indirizzarli alla pagina precedente dove, in un parallelo con l’inno ai Filippesi (cap. 2), vengono richiamati termini come Trinità, Incarnazione, Natività, Crocifissione, Resurrezione; ciò di cui la lavanda dei piedi è appunto icona.
Nei due percorsi – questo e quello più tradizionale -, il contenuto dottrinale è dunque identico, persino nei termini. Tuttavia, ci sembra possibile notare come, per gli autori di questo percorso, la fede, in questo capitolo ed in generale, venga considerata soprattutto dal lato della carità (e di altre virtù), in cui deve dispiegarsi. Ciò è comprensibile se lo si colloca nella prospettiva educativa d’insieme prima citata. Non c’è granché di cattolico, tuttavia, in questa apertura della fede alla carità. E, per guidare la riflessione ed invitare alla pratica, il capitolo contiene una pagina di esempi concreti relativi a servizi che il bambino potrebbe compiere ogni giorno, nonché, nel capitolo successivo, una pagina sui santi, donatisi totalmente al servizio di Dio e del prossimo, al fine, senza dubbio, di non ridurre la carità all’essere «gentili» con mamma o alla «condivisione» con l’amico, che non ha la merenda.
Checché ne sia di tale legittimazione, se ci si pone dalla parte di chi ascolta, di colui che, avendo sentito e recepito, proclamerà la propria fede dinanzi alla Chiesa (professione di fede) e l’annuncerà nel mondo, non manchiamo di notare come i bambini s’esprimano differentemente, in modo più povero.
3° percorso: prima la relazione personale con Cristo
Il Catechismo della Chiesa cattolica, citando il Catechismo Romano del concilio di Trento, afferma al termine dei paragrafi iniziali sulla catechesi: «Tutta la sostanza della dottrina e dell’insegnamento dev’essere indirizzata all’amore, che non ha fine. Perché si può esporre ciò che bisogna credere, sperare o fare; ma soprattutto si deve sempre dar rilievo all’Amore di Nostro Signore, così da far comprendere a chiunque che ogni esercizio di perfetta virtù cristiana non ha altra origine se non nell’Amore, come nell’Amore ha il proprio fine» (n. 25).
Questa citazione apre la Piccola guida del catechista del percorso «Viens, suis-moi» [«Vieni, seguimi»], prodotto dall’Istituto Nostra Signora della Vita; percorso che, al seguito del fondatore di detto istituto, il Beato Maria-Eugenio di Gesù Bambino, la rende come un primato del risveglio del desiderio di Dio, dell’esperienza interiore di Cristo, della sua presenza e della sua misericordia. Il posto centrale dato, in ogni riunione, a ciò che assomiglia ad una preghiera guidata, lo indica fortemente. Sulla stessa linea, per il contenuto dottrinale, il ritorno alla riunione precedente «lascia che i bambini si esprimano su quanto hanno conservato nel loro cuore».
Ecco un terzo aspetto della fede, che il percorso descrive appunto quale «impegno di fede», alla sequela di Padre Maria-Eugenio, termine che ovviamente non può essere compreso con gli accenti forniti nel quadro dell’Azione cattolica, bensì alla luce della scuola carmelitana.
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Certo, tra le giovani generazioni, quando i bambini hanno fatto posto ai liceali e poi ai giovani adulti, luoghi di incontro esistono ed anche una comune consapevolezza d’essere cattolici: sono meno settari dei loro anziani, si dice frettolosamente. Tuttavia, queste differenze nell’insegnamento della fede non sono scomparse.
Nell’orbita tradizionale, il pellegrinaggio di Chartres a Pentecoste è uno di questi luoghi privilegiati di incontro. È sufficiente, nei tre giorni di cammino, aver parlato con gli uni e con gli altri per notare una diversità e come taluni siano lontani da un catechismo tradizionale, da una struttura tradizionale della fede. «Non è questo l’essenziale», dirà qualcuno. Ecclesia supplet…
Gli organizzatori sembrano pensarla un po’ diversamente, loro che preparano con grande cura un insieme coerente e vivificante di insegnamenti e di meditazioni, preparano i vertici del capitolo alla loro diffusione fedele, mobilitando il maggior numero di sacerdoti, di seminaristi e di religiosi per garantirne la comprensione e per risolvere gli interrogativi. L’ambizione è costante di anno in anno. Senza dubbio, perché dietro c’è la convinzione che la dottrina, la vita interiore, la carità e le virtù si rispondano a vicenda e che nulla potrebbe esser trascurato, senza danneggiare il resto. Sarebbe bene che l’esempio venisse seguito su più ampia scala.
Don Jean-Marie Perrot
[1] Ci sembra che tale differenza di approccio alla virtù della fede (questa virtù soprannaturale, per dirla con l’antico catechismo, che è un dono di Dio, grazie a cui crediamo con fermezza, con perfetta sottomissione a Dio ed in ciò ch’Egli ha rivelato alla Sua Chiesa e ch’essa ci propone a credere) sia più discriminante della differenza nel posto accordato alla Bibbia, benché le linee biblica e dottrinale possano non essere direttamente parallele. Ma questo è un problema ricorrente ed inevitabile della teologia, qualunque essa sia.