01/01/2022

«La salvezza delle anime è la legge suprema»

Par l'abbé Claude Barthe

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Salus animarum, suprema lex. Dopo Traditionis Custodes del 16 luglio 2021, sono state pubblicate il 18 dicembre le risposte della Congregazione per il Culto divino ai dubia, domande che si suppone siano state loro poste. Questo testo, ampiamente commentato[1], esplicita l’intenzione del motu proprio: abrogare a tempo determinato la liturgia tradizionale, mantenendo una tolleranza provvisoria ed alquanto delimitata verso il messale tradizionale per quanti vi siano ancora legati, ma proibendo gli altri libri liturgici, specialmente il rituale ed il pontificale.

Tali disposizioni tiranniche e pignole, che riattivano la guerra liturgica con un mondo tradizionale vivo e importante, e ciò nel peggior momento possibile, vale a dire in un contesto di crollo del cattolicesimo, provocano critiche persino da parte di prelati «progressisti». Non è detto pertanto che vengano perfettamente applicate. Tuttavia, qualora si obbedisse a tali proibizioni, non vi sarebbero più battesimi né matrimoni (tranne che nelle parrocchie personali, previa approvazione del vescovo) e, senza alcuna eccezione possibile, non vi sarebbero più né cresime né ordinazioni tradizionali.

Tale norma è chiaramente ingiusta dal punto di vista pastorale ed anche per la sua motivazione dottrinale (la liturgia tradizionale avrebbe cessato d’essere espressione della lex orandi: punto fondamentale, di cui parleremo nel prossimo numero di Res Novæ).

Non accettarla è dunque un diritto ed anche, tenuto conto della materia, è un dovere. Su chi poggia? Sull’intero popolo di Dio, in nome del sensus fidelium. È evidente, effettivamente, come la determinazione dei fedeli sia della massima importanza. Resta il fatto che, quando si tratti di battezzare, d’assolvere, di ricevere i consensi al matrimonio, d’impartire l’estrema unzione, di celebrare le cresime o di ordinare, sono i ministri dei sacramenti ad essere, per forza di cose, di nuovo in prima linea.

Di nuovo, perché negli anni seguiti alla riforma di Paolo VI, se la liturgia tridentina è sopravvissuta, ciò è stato grazie ad un gruppo di sacerdoti, di parroci, che hanno continuato a celebrarla. In seguito sono giunti sostegni decisivi, mons. Lefebvre (mons. de Castro Mayer in Brasile) ed i sacerdoti ch’egli ha (ch’essi hanno) consacrato. Questo grande rifiuto sacerdotale, poi episcopale molto concreto ha, come si sa, «spostato i paletti». Ha avviato un processo di graduale tolleranza, poi di riconoscimento, sostenuto dal card. Ratzinger/Benedetto XVI, all’ombra del quale si sono sviluppate le comunità Ecclesia Dei per il maggior bene delle anime e per il servizio della Chiesa.

Oggi, ecco che i sacerdoti ordinati in questo modo ed i vescovi che li sostengono devono assumere, senza provocazioni inutili, con prudenza e fermezza, sostenuti dalla preghiera e dalla forza della grazia, un identico, grande rifiuto. Ne va della prosecuzione della lex orandi e della salvezza di molte anime.

Don Claude Barthe


[1] Specialmente da noi: Chiesa e post concilio: Resistere a una legge liturgica ingiusta – don Claude Barthe ; Reazioni ai “responsa ad dubia” del Vaticano su “Traditionis custodes”: “A un ordine ingiusto non si deve obbedire” – Aldo Maria Valli.